martedì 26 novembre 2013

domenica 3 novembre 2013

Embrione: una definizione in tre punti

Come spiega il Glossario di Bioetica, dal greco "en-brion" ("fiorisco dentro"), è l'essere umano dal concepimento fino a 2 mesi di gestazione, che già ha una appartenenza sessuale, un DNA diverso da quello dei genitori

Roma, (Zenit.org) Carlo Bellieni | 165 hits

Embrione: dal greco "en-brion", cioè "fiorisco dentro", è l'essere umano dal concepimento fino a 2 mesi di gestazione, che già ha una appartenenza sessuale, che ha un DNA diverso da quello dei genitori, di cui porta solo una traccia.
Realismo
E’ un essere vivente (cresce, ha un metabolismo) con 46 cromosomi (in caso di malattia genetica i cromosomi possono variare di numero), ottenuti dalla fusione e dal rimodellamento del DNA dei 23 cromosomi presenti nell’ovocita, e dei 23 cromosomi presenti nello spermatozoo. Dal momento della fusione di ovocita e spermatozoo, si crea un DNA nuovo, che non appartiene né alla madre né al padre, ma ha caratteristiche tutte sue, pur mostrando in tanti aspetti il legame con le due figure di provenienza. L’embrione si dice tale - per convenzione - fino a 8 settimane dal concepimento, quando è già presente un cuore che batte. Lo sviluppo di un embrione è tumultuoso e rapido: aumenta di dimensioni con una rapidità che non si riscontra in nessuna altra epoca della vita.
La ragione
A chi sta a cuore l’embrione umano? A chi lo studia, a chi lo fa crescere in sé, a chi sa di esserlo stato e ne vuole la protezione per un senso di giustiza: se si protegge l’adulto sano e responsabile, tanto più va protetto l’embrione umano, che non è un “uomo in potenza”, ma un “uomo all’inizio”. Certo che ogni manipolazione ne mette a rischio la sopravvivenza, la salute e di conseguenza la futura salute nel corso della seguente vita.
Cosa ci aiuta ad identificare l’embrione come persona umana? In primo luogo la sua vitalità ne mostra lo stato di essere vivente e il suo corredo cromosomico ne mostra l'appartenenza al genere umano. Ma colpisce che l’embrione ha un rapporto speciale e diretto con il corpo della madre, che non si riscontra assolutamente in altri analoghi fenomeni di contatto tra due esseri geneticamente diversi. Infatti ha un rapporto di “dialogo” con le cellule della tuba uterina (il breve canale attraverso cui l’ovocita arriva dall’ovaia nell’utero se non avviene la fecondazione, o in cui si forma l'embrione se avviene la fecondazione). Questo dialogo avviene attraverso lo scambio di ormoni e proteine che hanno lo scopo di indicare al sistema immunitario della madre che l’organismo appena concepito non è un “corpo estraneo” da attaccare, pur essendo di altra composizione genetica. E’ questo il punto più spettacolare: laddove tutto in natura fa sì che il corpo estraneo piccolo venga distrutto dall’organismo grande in cui si introduce, in questo caso c’è collaborazione, dialogo, pur essendo chiaro che l’embrione non è parte del corpo della madre: il suo DNA è assolutamente diverso.
Il sentimento
Eppure lo siamo stati tutti! L’embrione e la madre iniziano un cammino a due, in cui anche nel segreto dell’intimità fisica "la madre fa la madre": il suo corpo accoglie in modo paradossale questo “corpo estraneo”; ma anche "il figlio fa il figlio" pur all’alba della sua comparsa, mandando addirittura delle cellule embrionali in circolo nel corpo della madre, cellule che incredibilmente non solo non vengono distrutte dal soggetto adulto, ma che possono in alcuni casi essere terapeutiche per lei. E’ evidente che ci troviamo di fronte a qualcosa di nuovo e di sostanzialmente e naturalmente buono.
Link esterni:
DONUM VITAE

ANGELA E SUA FIGLIA SONO SALVE. NONOSTANTE LA SANITA'

Foto: ANGELA E SUA FIGLIA SONO SALVE. NONOSTANTE LA SANITA' 

di Stefano Magni
28-10-2013
Alla fine Angela Bianco ce l’ha fatta. È stata operata al suo tumore al cervello e l’intervento è riuscito. Usando un moderno strumento di radioterapia, il Cyberknife, si è potuto colpire il tumore senza compromettere il feto. Angela lo aveva posto come condizione vincolante: non accettava di sacrificare la vita della figlia per salvare se stessa.

Angela, dunque, ce l’ha fatta. Ma non in Italia, né presso una struttura della sanità pubblica. Dopo il calvario subito all’ospedale di Bari, dove il Cyberknife c’era ma non si poteva usare, Angela aveva ricevuto una serie di inviti da parte di cliniche private in tutto il Paese. Alla fine, benché non si conoscano i dettagli della sua scelta e del suo trasferimento, Angela è ricomparsa ad Atene, in una clinica privata, a dare il lieto annuncio.

Quest’ultima vicenda di malasanità, conclusasi bene solo per l’eroismo della paziente, non certo per il nostro sistema, deve far riflettere su alcune cifre. La sanità in Puglia, teoricamente il fiore all’occhiello dell’amministrazione Nichi Vendola (leader del Sel, oltre che governatore della Regione), ha mostrato tutta la sua inefficienza burocratica, nonostante il suo costo sia sproporzionato alle casse regionali. Nel 2011, infatti, la sanità pugliese registrava un disavanzo di 1 miliardo e 103 milioni di euro e si piazzava terza nella classifica delle regioni con il bilancio sanitario più in rosso, dopo Lazio e Campania. Giusto per fare un paragone, se negli ultimi anni abbiamo sentito parlar male solo della sanità lombarda e del crack del San Raffaele, dobbiamo ricordare che la Lombardia, in quello stesso anno, aveva un avanzo di 45 milioni (nel 2012 registrava ancora un avanzo di 22,17 milioni), contro il miliardo e passa di disavanzo della Puglia. A cosa siano servite tutte quelle spese, non si sa. Nell’ospedale di Bari dove Angela avrebbe voluto farsi operare, il Cyberknife c’era, dunque qualcuno aveva sborsato i quattrini necessari a comprarlo. C’era ma non si poteva usare: vedi alla voce “spreco”. Il policlinico di Bari ha ricevuto dalla Regione 170mila euro per operazioni di cambi di sesso per operare la “disforia sessuale”, decisamente meno grave di un tumore al cervello. Di sicuro nessuno è mai morto per non essere riuscito a farsi cambiare subito il sesso.

Il problema della sanità pubblica non si limita alla sola Puglia. In queste settimane abbiamo assistito al teatrino governativo per non tagliare la spesa sanitaria. Ma nessuno può dire, con cognizione di causa, che si spenda troppo poco. La spesa pubblica per la sanità è aumentata del 64,1% in 10 anni, dal 2000 al 2011. a un ritmo doppio rispetto all’aumento del Pil (31,9%). Lo rileva uno studio di Confartigianato. Nel 2012, la spesa per la sanità ha raggiunto quota 114,5 miliardi, pari al 14,2% della spesa pubblica totale. In Italia ammalarsi costa più caro che nel resto della Ue: tra luglio 2007 e luglio 2012 servizi e prodotti sanitari sono cresciuti del 14,1%, 5,7 punti in più dell’Eurozona. Negli stessi dieci anni, però, la spesa dei privati per la sanità è cresciuta del 25,5% (secondo il rapporto Censis). Il che vuol dire che, sempre più italiani (un quarto in più rispetto all’inizio del millennio), non fidandosi del pubblico, si rivolgono al privato. Cattiva abitudine? Non proprio: nel caso di Angela, che ha preferito addirittura rivolgersi alla vicina Grecia, è una questione di vita e di morte. Per lei e per la figlia che porta in grembo.

lanuovabq.it

 
 
 
 
 
 
di Stefano Magni
28-10-2013
 
 
 
Alla fine Angela Bianco ce l’ha fatta. È stata operata al suo tumore al cervello e l’intervento è riuscito. Usando un moderno strumento di radioterapia, il Cyberknife, si è potuto colpire il tumore senza compromettere il feto. Angela lo aveva posto come condizione vincolante: non accettava di sacrificare la vita della figlia per salvare se stessa.

Angela, dunque, ce l’ha fatta. Ma non in Italia, né presso una struttura della sanità pubblica. Dopo il calvario subito all’ospedale di Bari, dove il Cyberknife c’era ma non si poteva usare, Angela aveva ricevuto una serie di inviti da parte di cliniche private in tutto il Paese. Alla fine, benché non si conoscano i dettagli della sua scelta e del suo trasferimento, Angela è ricomparsa ad Atene, in una clinica privata, a dare il lieto annuncio.

Quest’ultima vicenda di malasanità, conclusasi bene solo per l’eroismo della paziente, non certo per il nostro sistema, deve far riflettere su alcune cifre. La sanità in Puglia, teoricamente il fiore all’occhiello dell’amministrazione Nichi Vendola (leader del Sel, oltre che governatore della Regione), ha mostrato tutta la sua inefficienza burocratica, nonostante il suo costo sia sproporzionato alle casse regionali. Nel 2011, infatti, la sanità pugliese registrava un disavanzo di 1 miliardo e 103 milioni di euro e si piazzava terza nella classifica delle regioni con il bilancio sanitario più in rosso, dopo Lazio e Campania. Giusto per fare un paragone, se negli ultimi anni abbiamo sentito parlar male solo della sanità lombarda e del crack del San Raffaele, dobbiamo ricordare che la Lombardia, in quello stesso anno, aveva un avanzo di 45 milioni (nel 2012 registrava ancora un avanzo di 22,17 milioni), contro il miliardo e passa di disavanzo della Puglia. A cosa siano servite tutte quelle spese, non si sa. Nell’ospedale di Bari dove Angela avrebbe voluto farsi operare, il Cyberknife c’era, dunque qualcuno aveva sborsato i quattrini necessari a comprarlo. C’era ma non si poteva usare: vedi alla voce “spreco”. Il policlinico di Bari ha ricevuto dalla Regione 170mila euro per operazioni di cambi di sesso per operare la “disforia sessuale”, decisamente meno grave di un tumore al cervello. Di sicuro nessuno è mai morto per non essere riuscito a farsi cambiare subito il sesso.

Il problema della sanità pubblica non si limita alla sola Puglia. In queste settimane abbiamo assistito al teatrino governativo per non tagliare la spesa sanitaria. Ma nessuno può dire, con cognizione di causa, che si spenda troppo poco. La spesa pubblica per la sanità è aumentata del 64,1% in 10 anni, dal 2000 al 2011. a un ritmo doppio rispetto all’aumento del Pil (31,9%). Lo rileva uno studio di Confartigianato. Nel 2012, la spesa per la sanità ha raggiunto quota 114,5 miliardi, pari al 14,2% della spesa pubblica totale. In Italia ammalarsi costa più caro che nel resto della Ue: tra luglio 2007 e luglio 2012 servizi e prodotti sanitari sono cresciuti del 14,1%, 5,7 punti in più dell’Eurozona. Negli stessi dieci anni, però, la spesa dei privati per la sanità è cresciuta del 25,5% (secondo il rapporto Censis). Il che vuol dire che, sempre più italiani (un quarto in più rispetto all’inizio del millennio), non fidandosi del pubblico, si rivolgono al privato. Cattiva abitudine? Non proprio: nel caso di Angela, che ha preferito addirittura rivolgersi alla vicina Grecia, è una questione di vita e di morte. Per lei e per la figlia che porta in grembo.

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Giusi Spagnolo affetta dalla sindrome di down si laurea in Lettere a Palermo

La ragazza Giusi Spagnolo affetta dalla sindrome di down si laurea in Lettere a Palermo: è il primo caso in tutta Italia.
Un sogno che è diventato realtà. Questa è la storia di Giusi Spagnolo, la 26enne colpita dalla sindrome di down, che ha coronato il suo sogno più grande della sua vita: si è laureata in Lettere per fare la maestra. Lei con un grande coraggio di far vedere al mondo che anche chi soffre di questa malattia, può riuscire a studiare, ed ad laurearsi senza grandi problemi; c’è la fatta
Tanti studenti “normali” declinano nel proseguire il percorso universitario perché al primo ostacolo si abbattono. Giusi no, per lei gli ostacoli sono delle prove da superare e vincere. Eppure la storia di Giusi dovrebbe dare a tutti una marcia in più, una forza maggiore nel credere nei propri ideali e di portarli avanti fino alla concretizzazione. Giusi è arrivata ad conquistare un 105 su 110 nel corso di Beni demoetnoantropologici alla facoltà di Lettere dell’Università di Palermo. Non solo questa soddisfazione per il titolo conseguito, dalla giovane palermitana, ma anche perché ha il primato di prima ragazza down ad essere riuscita a laurearsi.
Giusi non si è lasciata scoraggiare da un cromosoma in più: anzi questo per lei è stato un motivo in più per mettercela tutta. Lo dimostra che in questi anni, oltre allo studio, questa ragazza ha anche lavorato come tutor nella scuola elementare di Montegrappa, portando materiale per la tesi che ha avuto come titolo il ruolo del gioco nell’apprendimento che ha utilizzato nella ricerca sul campo. Logicamente il risultato finale è frutto di un impegno costante nel tempo. “C’è dietro un lavoro di 26 anni – dice il padre, Bernardo Spagnolo -. Un lavoro che è cominciato in famiglia ed è proseguito a scuola. Siamo stati fortunati, abbiamo sempre incontrato professori disponibili e strutture adeguate. Anche all’Università, dove c’è il centro per la disabilità che ci ha dato un grande supporto. Grazie a questo lavoro di squadra, Giusi è riuscita a dimostrare che le persone con sindrome di Down possono accedere ad alti standard di studio. Lei è la prima donna in Italia. Speriamo non sia l’ultima”.
Fortunatamente la scuola italiana non è solo quella che ha autorizzato che un ragazzo down fosse escluso dalla gita scolastica per desiderio della preside, ma è anche quella che ha educato questa audace e ostinata studentessa. Un traguardo autentico che ha alle spalle anche tanta umanità e fermezza di superare anche i momenti duri che sicuramente ci saranno stati. La storia di Giusi è emozionante quanto ammirevole, perché come lei ci sono tanti altri ragazzi down con dei sogni e delle capacità, nascoste nel cassetto, ma lasciano andare, forse perché si sentono o si credono minorati, Giusi ne è la prova che non è cosi. Giusi c’è l’ha fatta questo vuol dire che anche tu puoi farcela.