venerdì 27 dicembre 2013

martedì 26 novembre 2013

domenica 3 novembre 2013

Embrione: una definizione in tre punti

Come spiega il Glossario di Bioetica, dal greco "en-brion" ("fiorisco dentro"), è l'essere umano dal concepimento fino a 2 mesi di gestazione, che già ha una appartenenza sessuale, un DNA diverso da quello dei genitori

Roma, (Zenit.org) Carlo Bellieni | 165 hits

Embrione: dal greco "en-brion", cioè "fiorisco dentro", è l'essere umano dal concepimento fino a 2 mesi di gestazione, che già ha una appartenenza sessuale, che ha un DNA diverso da quello dei genitori, di cui porta solo una traccia.
Realismo
E’ un essere vivente (cresce, ha un metabolismo) con 46 cromosomi (in caso di malattia genetica i cromosomi possono variare di numero), ottenuti dalla fusione e dal rimodellamento del DNA dei 23 cromosomi presenti nell’ovocita, e dei 23 cromosomi presenti nello spermatozoo. Dal momento della fusione di ovocita e spermatozoo, si crea un DNA nuovo, che non appartiene né alla madre né al padre, ma ha caratteristiche tutte sue, pur mostrando in tanti aspetti il legame con le due figure di provenienza. L’embrione si dice tale - per convenzione - fino a 8 settimane dal concepimento, quando è già presente un cuore che batte. Lo sviluppo di un embrione è tumultuoso e rapido: aumenta di dimensioni con una rapidità che non si riscontra in nessuna altra epoca della vita.
La ragione
A chi sta a cuore l’embrione umano? A chi lo studia, a chi lo fa crescere in sé, a chi sa di esserlo stato e ne vuole la protezione per un senso di giustiza: se si protegge l’adulto sano e responsabile, tanto più va protetto l’embrione umano, che non è un “uomo in potenza”, ma un “uomo all’inizio”. Certo che ogni manipolazione ne mette a rischio la sopravvivenza, la salute e di conseguenza la futura salute nel corso della seguente vita.
Cosa ci aiuta ad identificare l’embrione come persona umana? In primo luogo la sua vitalità ne mostra lo stato di essere vivente e il suo corredo cromosomico ne mostra l'appartenenza al genere umano. Ma colpisce che l’embrione ha un rapporto speciale e diretto con il corpo della madre, che non si riscontra assolutamente in altri analoghi fenomeni di contatto tra due esseri geneticamente diversi. Infatti ha un rapporto di “dialogo” con le cellule della tuba uterina (il breve canale attraverso cui l’ovocita arriva dall’ovaia nell’utero se non avviene la fecondazione, o in cui si forma l'embrione se avviene la fecondazione). Questo dialogo avviene attraverso lo scambio di ormoni e proteine che hanno lo scopo di indicare al sistema immunitario della madre che l’organismo appena concepito non è un “corpo estraneo” da attaccare, pur essendo di altra composizione genetica. E’ questo il punto più spettacolare: laddove tutto in natura fa sì che il corpo estraneo piccolo venga distrutto dall’organismo grande in cui si introduce, in questo caso c’è collaborazione, dialogo, pur essendo chiaro che l’embrione non è parte del corpo della madre: il suo DNA è assolutamente diverso.
Il sentimento
Eppure lo siamo stati tutti! L’embrione e la madre iniziano un cammino a due, in cui anche nel segreto dell’intimità fisica "la madre fa la madre": il suo corpo accoglie in modo paradossale questo “corpo estraneo”; ma anche "il figlio fa il figlio" pur all’alba della sua comparsa, mandando addirittura delle cellule embrionali in circolo nel corpo della madre, cellule che incredibilmente non solo non vengono distrutte dal soggetto adulto, ma che possono in alcuni casi essere terapeutiche per lei. E’ evidente che ci troviamo di fronte a qualcosa di nuovo e di sostanzialmente e naturalmente buono.
Link esterni:
DONUM VITAE

ANGELA E SUA FIGLIA SONO SALVE. NONOSTANTE LA SANITA'

Foto: ANGELA E SUA FIGLIA SONO SALVE. NONOSTANTE LA SANITA' 

di Stefano Magni
28-10-2013
Alla fine Angela Bianco ce l’ha fatta. È stata operata al suo tumore al cervello e l’intervento è riuscito. Usando un moderno strumento di radioterapia, il Cyberknife, si è potuto colpire il tumore senza compromettere il feto. Angela lo aveva posto come condizione vincolante: non accettava di sacrificare la vita della figlia per salvare se stessa.

Angela, dunque, ce l’ha fatta. Ma non in Italia, né presso una struttura della sanità pubblica. Dopo il calvario subito all’ospedale di Bari, dove il Cyberknife c’era ma non si poteva usare, Angela aveva ricevuto una serie di inviti da parte di cliniche private in tutto il Paese. Alla fine, benché non si conoscano i dettagli della sua scelta e del suo trasferimento, Angela è ricomparsa ad Atene, in una clinica privata, a dare il lieto annuncio.

Quest’ultima vicenda di malasanità, conclusasi bene solo per l’eroismo della paziente, non certo per il nostro sistema, deve far riflettere su alcune cifre. La sanità in Puglia, teoricamente il fiore all’occhiello dell’amministrazione Nichi Vendola (leader del Sel, oltre che governatore della Regione), ha mostrato tutta la sua inefficienza burocratica, nonostante il suo costo sia sproporzionato alle casse regionali. Nel 2011, infatti, la sanità pugliese registrava un disavanzo di 1 miliardo e 103 milioni di euro e si piazzava terza nella classifica delle regioni con il bilancio sanitario più in rosso, dopo Lazio e Campania. Giusto per fare un paragone, se negli ultimi anni abbiamo sentito parlar male solo della sanità lombarda e del crack del San Raffaele, dobbiamo ricordare che la Lombardia, in quello stesso anno, aveva un avanzo di 45 milioni (nel 2012 registrava ancora un avanzo di 22,17 milioni), contro il miliardo e passa di disavanzo della Puglia. A cosa siano servite tutte quelle spese, non si sa. Nell’ospedale di Bari dove Angela avrebbe voluto farsi operare, il Cyberknife c’era, dunque qualcuno aveva sborsato i quattrini necessari a comprarlo. C’era ma non si poteva usare: vedi alla voce “spreco”. Il policlinico di Bari ha ricevuto dalla Regione 170mila euro per operazioni di cambi di sesso per operare la “disforia sessuale”, decisamente meno grave di un tumore al cervello. Di sicuro nessuno è mai morto per non essere riuscito a farsi cambiare subito il sesso.

Il problema della sanità pubblica non si limita alla sola Puglia. In queste settimane abbiamo assistito al teatrino governativo per non tagliare la spesa sanitaria. Ma nessuno può dire, con cognizione di causa, che si spenda troppo poco. La spesa pubblica per la sanità è aumentata del 64,1% in 10 anni, dal 2000 al 2011. a un ritmo doppio rispetto all’aumento del Pil (31,9%). Lo rileva uno studio di Confartigianato. Nel 2012, la spesa per la sanità ha raggiunto quota 114,5 miliardi, pari al 14,2% della spesa pubblica totale. In Italia ammalarsi costa più caro che nel resto della Ue: tra luglio 2007 e luglio 2012 servizi e prodotti sanitari sono cresciuti del 14,1%, 5,7 punti in più dell’Eurozona. Negli stessi dieci anni, però, la spesa dei privati per la sanità è cresciuta del 25,5% (secondo il rapporto Censis). Il che vuol dire che, sempre più italiani (un quarto in più rispetto all’inizio del millennio), non fidandosi del pubblico, si rivolgono al privato. Cattiva abitudine? Non proprio: nel caso di Angela, che ha preferito addirittura rivolgersi alla vicina Grecia, è una questione di vita e di morte. Per lei e per la figlia che porta in grembo.

lanuovabq.it

 
 
 
 
 
 
di Stefano Magni
28-10-2013
 
 
 
Alla fine Angela Bianco ce l’ha fatta. È stata operata al suo tumore al cervello e l’intervento è riuscito. Usando un moderno strumento di radioterapia, il Cyberknife, si è potuto colpire il tumore senza compromettere il feto. Angela lo aveva posto come condizione vincolante: non accettava di sacrificare la vita della figlia per salvare se stessa.

Angela, dunque, ce l’ha fatta. Ma non in Italia, né presso una struttura della sanità pubblica. Dopo il calvario subito all’ospedale di Bari, dove il Cyberknife c’era ma non si poteva usare, Angela aveva ricevuto una serie di inviti da parte di cliniche private in tutto il Paese. Alla fine, benché non si conoscano i dettagli della sua scelta e del suo trasferimento, Angela è ricomparsa ad Atene, in una clinica privata, a dare il lieto annuncio.

Quest’ultima vicenda di malasanità, conclusasi bene solo per l’eroismo della paziente, non certo per il nostro sistema, deve far riflettere su alcune cifre. La sanità in Puglia, teoricamente il fiore all’occhiello dell’amministrazione Nichi Vendola (leader del Sel, oltre che governatore della Regione), ha mostrato tutta la sua inefficienza burocratica, nonostante il suo costo sia sproporzionato alle casse regionali. Nel 2011, infatti, la sanità pugliese registrava un disavanzo di 1 miliardo e 103 milioni di euro e si piazzava terza nella classifica delle regioni con il bilancio sanitario più in rosso, dopo Lazio e Campania. Giusto per fare un paragone, se negli ultimi anni abbiamo sentito parlar male solo della sanità lombarda e del crack del San Raffaele, dobbiamo ricordare che la Lombardia, in quello stesso anno, aveva un avanzo di 45 milioni (nel 2012 registrava ancora un avanzo di 22,17 milioni), contro il miliardo e passa di disavanzo della Puglia. A cosa siano servite tutte quelle spese, non si sa. Nell’ospedale di Bari dove Angela avrebbe voluto farsi operare, il Cyberknife c’era, dunque qualcuno aveva sborsato i quattrini necessari a comprarlo. C’era ma non si poteva usare: vedi alla voce “spreco”. Il policlinico di Bari ha ricevuto dalla Regione 170mila euro per operazioni di cambi di sesso per operare la “disforia sessuale”, decisamente meno grave di un tumore al cervello. Di sicuro nessuno è mai morto per non essere riuscito a farsi cambiare subito il sesso.

Il problema della sanità pubblica non si limita alla sola Puglia. In queste settimane abbiamo assistito al teatrino governativo per non tagliare la spesa sanitaria. Ma nessuno può dire, con cognizione di causa, che si spenda troppo poco. La spesa pubblica per la sanità è aumentata del 64,1% in 10 anni, dal 2000 al 2011. a un ritmo doppio rispetto all’aumento del Pil (31,9%). Lo rileva uno studio di Confartigianato. Nel 2012, la spesa per la sanità ha raggiunto quota 114,5 miliardi, pari al 14,2% della spesa pubblica totale. In Italia ammalarsi costa più caro che nel resto della Ue: tra luglio 2007 e luglio 2012 servizi e prodotti sanitari sono cresciuti del 14,1%, 5,7 punti in più dell’Eurozona. Negli stessi dieci anni, però, la spesa dei privati per la sanità è cresciuta del 25,5% (secondo il rapporto Censis). Il che vuol dire che, sempre più italiani (un quarto in più rispetto all’inizio del millennio), non fidandosi del pubblico, si rivolgono al privato. Cattiva abitudine? Non proprio: nel caso di Angela, che ha preferito addirittura rivolgersi alla vicina Grecia, è una questione di vita e di morte. Per lei e per la figlia che porta in grembo.

lanuovabq.it

Giusi Spagnolo affetta dalla sindrome di down si laurea in Lettere a Palermo

La ragazza Giusi Spagnolo affetta dalla sindrome di down si laurea in Lettere a Palermo: è il primo caso in tutta Italia.
Un sogno che è diventato realtà. Questa è la storia di Giusi Spagnolo, la 26enne colpita dalla sindrome di down, che ha coronato il suo sogno più grande della sua vita: si è laureata in Lettere per fare la maestra. Lei con un grande coraggio di far vedere al mondo che anche chi soffre di questa malattia, può riuscire a studiare, ed ad laurearsi senza grandi problemi; c’è la fatta
Tanti studenti “normali” declinano nel proseguire il percorso universitario perché al primo ostacolo si abbattono. Giusi no, per lei gli ostacoli sono delle prove da superare e vincere. Eppure la storia di Giusi dovrebbe dare a tutti una marcia in più, una forza maggiore nel credere nei propri ideali e di portarli avanti fino alla concretizzazione. Giusi è arrivata ad conquistare un 105 su 110 nel corso di Beni demoetnoantropologici alla facoltà di Lettere dell’Università di Palermo. Non solo questa soddisfazione per il titolo conseguito, dalla giovane palermitana, ma anche perché ha il primato di prima ragazza down ad essere riuscita a laurearsi.
Giusi non si è lasciata scoraggiare da un cromosoma in più: anzi questo per lei è stato un motivo in più per mettercela tutta. Lo dimostra che in questi anni, oltre allo studio, questa ragazza ha anche lavorato come tutor nella scuola elementare di Montegrappa, portando materiale per la tesi che ha avuto come titolo il ruolo del gioco nell’apprendimento che ha utilizzato nella ricerca sul campo. Logicamente il risultato finale è frutto di un impegno costante nel tempo. “C’è dietro un lavoro di 26 anni – dice il padre, Bernardo Spagnolo -. Un lavoro che è cominciato in famiglia ed è proseguito a scuola. Siamo stati fortunati, abbiamo sempre incontrato professori disponibili e strutture adeguate. Anche all’Università, dove c’è il centro per la disabilità che ci ha dato un grande supporto. Grazie a questo lavoro di squadra, Giusi è riuscita a dimostrare che le persone con sindrome di Down possono accedere ad alti standard di studio. Lei è la prima donna in Italia. Speriamo non sia l’ultima”.
Fortunatamente la scuola italiana non è solo quella che ha autorizzato che un ragazzo down fosse escluso dalla gita scolastica per desiderio della preside, ma è anche quella che ha educato questa audace e ostinata studentessa. Un traguardo autentico che ha alle spalle anche tanta umanità e fermezza di superare anche i momenti duri che sicuramente ci saranno stati. La storia di Giusi è emozionante quanto ammirevole, perché come lei ci sono tanti altri ragazzi down con dei sogni e delle capacità, nascoste nel cassetto, ma lasciano andare, forse perché si sentono o si credono minorati, Giusi ne è la prova che non è cosi. Giusi c’è l’ha fatta questo vuol dire che anche tu puoi farcela.

mercoledì 2 ottobre 2013

Una mamma che ha scelto di rifiutare l'amniocentesi e di accettare sua figlia nonostante il rischio della sindrome di down.

Tante volte abbiamo ricordato come l’aborto sia spesso uno strumento per discriminare i più deboli e soprattutto i bambini malati. Oggi questo nostro allarme si fa invece testimonianza grazie alla forza di chi ha saputo dire di no alla logica del “figlio perfetto” accettando la vita, in tutto e per tutto, per se e per i propri figli, anche se malati o disabili. Non c’è nulla di più vero ed emozionante di un autentico sì alla vita vissuto ogni giorno, quotidianamente.

A parlare con noi è Greta, la mamma delle piccola Esmeralda, l’abbiamo contattata su Facebook dove ha creato una pagina seguitissima dal titolo molto significativo: “Contro l’aborto dei feti down o con spina bifida”. Le sue parole ci hanno riempito di nuovo entusiasmo… tanto che non possiamo non condividerla con voi, giovani prolife, sperando che anche voi ne possiate trarre una nuova forza.

Greta ci racconta che “tutto è iniziato durante gli ultimi giorni dell’anno 2010 e i primi del 2011, con la conferma ufficiale della mia gravidanza (dopo quasi tre anni di relazione) che, anche se in un momento della vita che molti definirebbero inopportuno, dal momento che io avevo diciotto anni, studiavo all’Università, e il padre appena sedici. Dopo i primi momenti di paure ed incertezze, è stata subito ben accolta […] Per un po’ di tempo sono stata una di loro, una di quelle ragazze che aiutate, che aiutiamo, ciascuno a suo modo; non sapevo come sarebbe andata la mia vita, non sapevo se mi avessero separata dal mio ragazzo, non sapevo se avessi perso i miei genitori, sempre così critici verso “certe situazioni”, non sapevo se avessi avuto come mia nuova casa una casa-famiglia”.

Poi arriva il momento di parlare con la famiglia, Greta lo fa “a fine sessione, dopo sette esami e forte di questa conquista. Dopo i primi timori, la mia gravidanza è stata accolta bene anche se pian piano nel tempo. Nei giorni in cui mi sentivo meglio andavo a lezione e così non sono rimasta indietro”. Quando poi arriva il giorno della prima ecografia... “un’emozione che non si scorda neanche quando in seguito si avrà il proprio figlio fra le braccia. Sentire la vita nella sua forma più perfetta dentro di sé è il privilegio assoluto di noi donne, che non scambierei con nessun altra cosa al mondo! Tutto sembrava procedere bene”.

Poi arriva il momento di fare degli esami medici e la situazione cambia. “Il medico però, mi aveva consigliato alcuni esami prenatali e io all’epoca non sapevo di cosa si trattasse. [...] Dopo essermi informata per bene, ho provato un senso di rabbia, di tradimento, perché il medico senza neanche darmi spiegazioni aveva deciso che io avrei dovuto fare quegli esami, pensando che queste procedure sono ragionevoli per tutti, ancora di più per due ragazzini che non possono “rovinarsi la vita” con un figlio “malato”, secondo il linguaggio comune”.

Ormai, però, gli esami erano stati prenotati... “ e l’idea di vedere di nuovo mia figlia attraverso l’ecografia mi ha fatto decidere di andare avanti, anche se già con il padre di mia figlia avevamo stabilito che qualunque fosse stato il risultato avremo rifiutato ogni esame invasivo. Adesso so che questa esperienza doveva assolutamente esserci nella mia vita, anche solo per produrre qualcosa di piccolissimo, ma di buono, come il mio piccolo spazio di ascolto e per testimoniare a favore della vita”.

Arrivano così i risultati: “sono entrata nella stanza del genetista, una stanza gelida, disumana. Ho provato cosa vuol dire maneggiare semplici carte, dopo aver detto il proprio nome e cognome e sentirsi dire con freddezza, come se davanti a loro ci fosse un numero, non un essere umano, “ne dobbiamo parlare”. Parole che, in tutta la loro formale chiarezza ed immediatezza, non si dimenticano. Oltre al genetista c’era una collega, che dava le spalle a lui e a me. Lei, una donna, una donna come me, forse una mamma, chi lo sa, non ha detto una sola parola, non un cenno, non uno sguardo”.

Il ricordo di Greta ci rende partecipi di quanto possa essere disumanizzante il confronto con l’indifferrenza degli altri, specialmente di chi dovrebbe essere lì per aiutarti, per la tua salute e per quella di tuo figlio: “Io non esistevo, mia figlia non esisteva, non c’era nessun paziente da definire essere umano, perché non c’era nessuna umanità in quella stanza. Lui mi guardò e mi disse con lo stesso tono di uno che sta sbrigando una normale, e quasi noiosa, pratica, che il passo successivo sarebbe stato l’amniocentesi. Io gli risposi con fermezza che non era la mia volontà. Lui se ne lavò le mani rispondendo che avrebbe preferito che fosse stato presente anche il padre di mia figlia, ma più per avere un’ulteriore firma che per altro. Comunque per lui andava bene anche così, del resto per legge è solo la madre che conta in questi casi. Ho messo la mia firma, senza tremare, ma con tutto l’amore di una madre che farebbe di tutto per difendere il figlio che le cresce in grembo”.

L’appuntamento è ora con il ginecologo, a cui Greta consegna i risultati degli esami “un test positivo per la Sindrome di Down con la percentuale di 1:110, in sostanza come se fossi una donna di 45 anni! Proprio quel giorno era il 21 marzo, giornata mondiale per la Sindrome di Down. Proprio al ritorno a casa, mio padre mi consegnò una collana con un ciondolo a croce, dicendo di averlo trovato sul pavimento a lavoro. Certe “risposte” di Qualcuno a volte sono proprio immediate! Arrivò anche il giorno della visita dal ginecologo.”

“Esibisco come al solito la mia cartellina verde, un colore neutro perché ancora non sapevamo il sesso del bambino, con tutti gli esami eseguiti, compreso il risultato del tritest. Il medico nel vederlo mi disse subito con serenità: “dobbiamo fare l’amioncentesi”. Io gli risposi che avevo già rifiutato. Lui con sguardo incredulo mi chiese il perché. Io e il padre di mia figlia abbiamo risposto che avremo accettato nostra figlia così com’era. La sua unica domanda è stata: “e se nasce un bimbo down (attenzione, ha detto “bimbo” non grumo di cellule!) che si fa?”. Il padre di mia figlia per niente intimorito rispose che sarebbe stato ugualmente nostro figlio e che anzi, se fosse stato down avrebbe avuto bisogno di un aiuto maggiore, non di essere eliminato. Il medico in silenzio scrisse sulla cartella che io avevo rifiutato l’amniocentesi e declinava ogni sua responsabilità”.

Arriva quindi il giorno del parto, il 3 Settembre, alle 13.35 e a 39+3 settimane “è nata Esmeralda –che significa “speranza”- di 3.580 kg per 51 cm. Ricordo ancora cosa si prova ad uscire trionfanti dalla sala operatoria, anche se in un letto paralizzata dai polmoni in giù a causa dell’anestesia, come se fossi stata la prima donna al mondo a compiere l’impresa!. Ed effettivamente se ci pensiamo, ogni donna che mette al mondo il proprio bambino compie un’impresa unica perché ciascun essere umano è unico ed insostituibile. Per l’emozione di questi momenti non esistono parole, si può restare solo in contemplazione”.

E la vita torna a scorrere con un tesoro immenso in più.. “non contenta dei dolori della mia ferita di 15 cm mi sono attivata per studiare l’ultima materia dell’anno accademico che mi mancava e dieci giorni dopo il parto, il 13 settembre, mi sono presentata in facoltà superando ottimamente l’esame, nonostante il sonno a causa delle nottate. La mia vita dopo due anni procede ancora meravigliosamente così, tra lezioni, libri, latte e pannolini".

Prolife.it Giovani Movimento per la Vita Italiano: Grazie a mia moglie e ai miei figli che mi danno l...

Prolife.it Giovani Movimento per la Vita Italiano: Grazie a mia moglie e ai miei figli che mi danno l...: Riportiamo la testimonianza di Riccardo Cerantola, malato di SLA e padre di due figli Sono un papà di 39 anni, malato di Sla, una delle...

martedì 17 settembre 2013

testimonianza: con l'adozione ho salvato mio figlio

Oggi ho conosciuto una giovane donna meravigliosa, ha voluto lasciarci questa bella testimonianza di vita, amore e speranza...la pubblico di buon grado perchè penso che sia preziosa e potrebbe senz'altro contribuire a salvare delle vite umane. Giustamente l'autrice desidera mantenere l'anonimato ed è giusto rispettare questa sua volontà.



Desidero scrivere questa mia testimonianza per tutte le donne che stanno pensando ad un’alternativa all’aborto: l’adozione


... Io ho un figlio di sette anni. Quando restai incinta, dovevo sposarmi. Ma il mio ragazzo improvvisamente rivelò un volto diverso da quello con cui si era presentato, e dovetti allontanarlo da casa mia. Non ho più i genitori, e da tempo ero sola al mondo. Gli assistenti sociali mi furono subito addosso...Volevano spingermi ad abortire. Spinsero a tal punto, che per un breve periodo ci pensai, ma sentivo mio figlio crescere dentro di me e rigettai l'idea. Due mie care amiche avevano abortito prima di me e ne portavano, (ne portano tuttora ) i segni. Anche loro erano state spinte da terze persone e dalle circostanze. Non avevo nulla, la mia situazione economica era improvvisamente crollata ed ero disperata. Così, non senza difficoltà , non senza lacrime, firmai i fogli per l'adozione, sottoscrivendo un progetto già attivo nella regione e in altre regioni di Italia , e chiamato "mamma segreta ". Si firma rinunciando ai diritti sul bambino, che viene subito, immediatamente adottato alla nascita. In ospedale non puoi lasciare i tuoi dati, né puoi avere notizie della famiglia adottiva. Qualcuno inorridisce solo all'idea... ma a conti fatti ho garantito a mio figlio una famiglia selezionate tra altre dieci, cento che restano in lista per periodi lunghissimi e vengono sottoposte a controlli molto severi. Spesso sento il luogo comune : "bah i figli adottivi, chissà in che mani vanno..." . Non è così. Ho conosciuto figli adottati alla nascita... felici, protetti, cresciuti con amore, insomma...desiderati.

Sono stata molto vicina all'IVG, e ora leggendo le testimonianze di ragazze che hanno intrapreso questa scelta, soprattutto quando non erano convinte, ringrazio il cielo dell'esistenza di questo progetto.

Se ho sofferto? Certo!

Se penso a mio figlio? Ogni giorno !!

Se mi manca ? Ovvio!!! Ma dal momento in cui l'ho partorito, e per un attimo l'ho visto...così sano, bello, bianco e rosa... beh, non mi è importato più molto di non potergli dare il mio cognome. Sono entrata in ospedale piangendo...sono uscita volando!! Il cuore mi scoppiava di gioia per averlo potuto partorire con l'appoggio psicologico di medici e infermieri e con tutte le garanzie che mi erano state fornite sul suo futuro appena iniziato... E non sono stata gelosa dei genitori, della donna che lo sta crescendo al mio posto. Ho voluto il meglio per lui, e il cuore mi dice, (così come un tribunale e un giudice tutelare ), mi garantiscono che questo meglio lo ha avuto. Alle donne che stanno facendo l'iter per l'ivg, chiedo di tenere in considerazione la mia esperienza... Non giudico, ma voglio dire che esiste una soluzione, la quale, almeno nel mio caso, non è stata tragica. Credevo di venire giudicata per questa mia scelta, (tra l'altro obbligata da circostanze che non mi sento di riportare qui, ma piuttosto tragiche ). Uscita dall'ospedale ho trovato una solidarietà , e una comprensione che non mi aspettavo. A volte per i servizi sociali, l'iter più rapido è l’IVG... Ma credo che sia anche il più doloroso per molte di noi che non sono convinte di questa scelta. Mio figlio ora cresce, da qualche parte dell'Italia... dentro di me, so' che è circondato di amore ...e tanto mi basta.

Alle ragazze che hanno fatto l'ivg dico che non sono qui a giudicarvi: soffro per voi e con voi, e vi sono vicinissima ora, visto che al tempo, fui vicinissima a trovarmi in una sala operatoria per portare a termine una gravidanza che chi mi circondava, non voleva.

Mi sento in dovere di contribuire con la mia esperienza. Fornisco un link che potrà essere utile:

http://www.informadonna.prato.it/

Il progetto è attivo in Toscana , ma credo che tramite gli assistenti sociali , si possa aderire o comunque venire aiutati ad una iter analogo in tutta Italia.

Al mio bambino:
Sembra che il tuo arrivo imminente susciti emozioni solo a me.
Mi spiace che tu non sia trattato come gli altri bambini. Forse è una delle ultime lettere che potrò scriverti e stampare perché tu possa leggerla domani.
Non so dove, ma sono sicura che in questo istante, hai i miei fogli in mano, e forse, tra la carta, tra mille righe traspare la figura della donna che ti ha transitato nel mondo.
Non voglio che tu mi ricordi con rancore. Tantomeno con malinconia o curiosità morbosa.
Ti amo molto, ma sono solo un involucro in cui permani da otto mesi e quattro giorni, e non posso dire, come tante altre donne, di aspettarti con ansia.
Ci sei già, e solo per ora.
Dopo rimarrai un vuoto incolmabile. Avrei voluto darti una casa e un padre, o anche solo la mia presenza. E mi vedo, di fronte ad un piccolo estraneo, una miniatura duomo che piange davanti agli urti del sole, che sorride ai miei abbracci, che continua a stupirmi, ad evolversi, non più dentro di me ma al mio fianco. Avverto già la tua "non presenza".
L’ombra di mio figlio che cammina accanto a me, in sentieri paralleli e a lui nuovi, in vecchie strade che in quasi ventotto anni ho già percorso inciampando, cadendo, rialzandomi.
Come rialzarsi ora, quando una serie di contrazioni, il rumore di un pianto, una schiera di camici bianchi mi rigetteranno a terra, un cartello di "stop" da fissare per ore bilateralmente assenti, per giorni senza un piccolo idolo da adorare, senza una creazione da esporre tra braccia inesperte, senza un altro bambino con cui giocare perché ne ho ancora tanta voglia, e sarei cresciuta con te. E mi sarei persa tra pupazzi e bambolotti, tornata a guardare il mondo coi primi sguardi che mi hanno rapito il viso, fatta sorridere del creato.


fonte: Mpv-centro aiuto alla vita di Campodarsego

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Prolife.it Giovani Movimento per la Vita Italiano: Il medico angelo che ha commoso l’Italia: ha sempr...: Una giovane mamma racconta: "è grazie a lei se sono arrivata fino in fondo, se ho tenuto duro, se mia figlia oggi ha 13 anni ed è ...

domenica 8 settembre 2013

Il tuo cuore. Il mio cuore.

fonte: Prolife.it Giovani Movimento per la Vita Italiano: 


Fa male sentire il tuo cuore battere allo stesso tempo del mio.


Quella cosa c’è. Ne è sicura. La sente. Debora ha paura. Anche perché non se la sente ancora di dirlo a nessuno. Nemmeno a Leo. Ha paura del suo pensiero.

Leonardo potrebbe decidere di non aiutarla. È comunque un’eventualità e lei non la vuole scartare. Lui è sempre stato molto gentile con lei, fin troppo a volte, e ora sarebbe la volta buona che la potrebbe mandare a quel paese.
È che lei questo non se lo sarebbe mai aspettato. Fare l’amore a diciotto anni – quasi diciannove – è meraviglioso, ma non si riesce mai a pensare alle conseguenze.
Si pensa spesso all’ora e mai al dopo.
Anche se sinceramente, ultimamente, con la scoperta dell’esserci dell’essere pensa solo a quello. Anche l’esame l’ha superato per il rotto della cuffia, grazie all’aiuto del prof di italiano. Anzi, ora che ci pensa deve mandargli un messaggio. Non l’ha ancora ringraziato.
Prende il cellulare e scrive il messaggio, poi lo invia. Dopo qualche minuto arriva la risposta.
“Figurati! Se c’è un problema, ci salviamo tutti o nessuno, ricordalo sempre. Come spesso ho detto, eravate una buona classe, una buona squadra, e siamo riusciti a vincere la nostra Champions League. Quel giorno ti ho visto pensierosa. Se hai bisogno, sono qua. ti voglio bene .”
Prof, le andrebbe un caffè?
“Certo che sì. quando e dove (il come e il perché li lascio da parte)?”
Gli dice il luogo e l’ora e si inizia a preparare. La passa a prendere lui, tanto “è sulla strada”.
Sono seduti al tavolino del bar, in un dehor davanti a una piazza semi-deserta. Ciò d’estate è strano, persino in un paese così sperduto tra le valli cuneesi.
«Prof, ho paura che mi… che mi possa giudicare.»
«Lo sai che io non giudico. Mai.»
«È che… ho una cosa… qua dentro di me… cioè…»
«Sei incinta.»
«Come fa a saperlo?»
«Be’, non ci va una scienza. Si legge dai tuoi occhi.»
Il prof sorride. Per lui i ragazzi non sono mai stati un segreto. Gli studenti sono sempre stati uguali. Lui stesso, all’epoca, era così.
Nonostante le canzoni, le ideologie, le religioni, le tecnologie, gli uomini restano i medesimi.
Secondo lui, non è vero che il Signore ci ha fatti e poi ha buttato lo stampo. Dio ha fatto tutti con lo stesso stampo, ma essendo Egli l’Uomo più astuto dell’Eternità, si è inventato un piccolo trucco, osservando i cuochi: essi cucinano lo stesso piatto, eppure lo presentano in modo diverso, lo compongono in modo differente. Analizzando ciò, ha deciso che doveva utilizzare lo stesso stampo per l’anima, mentre per il resto si doveva avvalere della propria fantasia. Il professore, quando parla del Creatore, dà questa definizione: “Dio è il più grande Maestro di teatro che esista. Se ognuno di noi è a sua immagine e somiglianza, dev’essere stato Lui stesso il primo imitatore di sé.”
«Cos’hanno i miei occhi?»
«Hai lo sguardo di chi è madre.»
«E, se posso essere curiosa, qual è la differenza dagli altri tipi?»
«Semplice: sono lucidi, brillano, come dei diamanti, oppure degli Swarovski. Ecco, gli occhi delle donne possono essere definiti così: sono dei brutti anatroccoli che con il tempo, con l’esperienza e la maternità diventano dei cigni splendenti.»
«Cazzo…»
«Debora!»
«Mi scusi, ma mi pare di trovarmi davanti a un poeta.»
«Tanto gentile e tanto onesta pare, la donna che mi sta dinanzi.»
Deby sorride. Quell’uomo è totalmente innamorato del Sommo Poeta, Dante Alighieri.
«Be’, è lei che mi stupisce, prof. Non la facevo così intellettuale e pensieroso.»
«Mi attraggono questi argomenti e temi che al giorno d’oggi non vengono più trattati: Dio, il senso della vita, l’amore, la morte. Ci hai mai pensato? Ne “La morte” si può leggere la parola “amore”.»
La ragazza rimane a bocca aperta. Scuote la testa. No, non ci aveva mai pensato.
«Senti,» continua il professore: «Sapendo ciò che dovevi dirmi, a casa ho deciso che era ora di liberarmi di una cosa che avevo scritto pensando a mia madre. Leggila. Spero ti sia d’aiuto e sappi che per qualunque cosa io ci sono.»
Si alza in piedi e dalla tasca dei jeans sfila un foglio piegato in quattro parti perfettamente regolari. La appoggia sul tavolo, lasciando anche i due euro al cameriere che passa di lì. Debora sorride e ne ha timore. Ringrazia e se la infila nella borsetta.
Si alza anche lei e si avviano verso l’automobile.
Si dirige verso la sua stanza, senza nemmeno cercare di capire ciò che la madre le sta dicendo.
Si sdraia sul letto e apre la lettera. La legge una volta e si mette a piangere e la ricomincia una seconda e una terza e una quarta e ogni volta piange sempre più. Dopo la decima volta che la rilegge la comincia a recitare a memoria, parola per parola, soffermandosi su quelle che la colpiscono di più:
Non mi sembra giusto che tu prenda le tue decisioni da sola. Non mi sembra giusto che tutta la mia vita o morte sia decisa solamente da te.
Avrai fatto un errore. Ma un errore serve a crescere, non a dimenticare.
Sono arrabbiato con te.
Con i miei calci cerco di farti male per farti bene. Le due cose non sono così lontane come si crede. Il Bene e il Male sono astrazioni che nessuno ha mai visto.
Ho sentito quella voce di uomo – una voce antipatica, brutta, fastidiosa – che ti diceva quelle parole.
Meglio buttarlo via, il verme.
Chi sarebbe costui? Mio padre? Tuo padre? Un dottore? La coscienza? Chi è?
Credo che tuo figlio dovrebbe aver diritto a sapere chi è la persona che ti ha convinto a fare quest’omicidio.
Da quando hai preso quella decisione, i bambini non mi salutano più. Mi sento solo. Mi sento colpevole.
E invece tu non senti niente, eccetto i calci che ti tiro per dirti che ti amo anche nell’odio che provo.
È che mi fa male pensare che non potrò fare tante cose con te. Mi piacerebbe piangere, ridere, litigare, mandarti a quel paese e poi chiederti scusa e abbracciarti e dirti che ti voglio bene e confessarti di avere una storia d’amore.
E poi farti diventare nonna, averti vicina al matrimonio, sognarti la notte e vederti di giorno, esserti accanto negli ultimi giorni di vita.
Ci sono un sacco di cose che una madre e un figlio possono fare insieme, ma tu non te ne rendi conto.
Tu, sempre il centro di tutto.
Ti amo anche nel tuo egoismo cronico.
Nel tuo egoismo di ragazza diciassettenne che ha capito di aver “fatto un casino”.
Resto ancora fermo un po’, che fa male sentire il tuo cuore battere allo stesso tempo del mio.
Fa male l’amore. Fa male la morte. E poi sarei io il verme?
Occupo lo spazio in cui posso stare, sanguino il sanguinabile e odio l’amabile.
È che mi farebbe male non essere più Figlio. Mi farebbe male non vederti più come Madre.”


Stefano Devalle

giovedì 5 settembre 2013

Apologia della vita

 

E’ davvero impressionante il video della deputata Beatriz Escudero che risponde all’interpellanza presentata dal Gruppo Socialista al Governo spagnolo sull’ipotesi di riforma della legislazione sull’aborto del 2010.
Signori: basta parlare di arretratezza, voi veramente pensate che una società che voglia difendere il diritto di tutti sia una società arretrata? Il diritto alla vita, signori, è il principale dei nostri diritti. Non avremmo diritto alla libertà di espressione, nè diritto alla libertà sessuale, nè diritto di poter decidere del nostro corpo, se non avessimo quel diritto fondamentale, quel valore supremo che è il diritto alla vita. I Diritti possono essere difesi solo a partire dalla verità“.
E ancora aggiunge: “Come potete spiegare alla società spagnola che difendete gli embrioni dei polipi e dei calamari, delle mucche e dei cavalli, perchè sapete che soffrono?
Vale la pena dedicare otto minuti per vederlo, e pochissimi secondi per condividerlo e farlo girare su internet, suggerendolo agli amici. Perché?
Innanzitutto è un tentativo di riconsiderare quelli che ormai sono tabù intoccabili del ’68. Da allora, la legislazione e la società occidentale hanno preso una china inarrestabile: divorzio, aborto, eutanasia, coppie di fatto, droga. La direzione si può e si deve cambiare, poco a poco, con preparazione e coraggio.
E poi è un esempio di buona comunicazione: contenuti, ironia, testa alta. Apprezzo soprattutto l’incipit, in cui la deputata ribalta la situazione rispetto a come la presentano i giornaloni: non è reazionario chi difende la vita, bensì chi si ostina a rimanere al ’68; non è retrogrado chi vuole costruire una società giusta, umana, bella, bensì chi la vuole distruggere.
Vale veramente la pena vederlo, è molto incisivo.
Buona visione.
Fonte: 
http://cogitoetvolo.it/apologia-della-vita/

lunedì 2 settembre 2013

La psicologa Foà e le conseguenze dell’aborto sui genitori

Parlando di aborto, spesso si sottovalutano le drammatiche conseguenze che si ripercuotono sulla vita dei genitori. I traumi causati da un aborto procurato, infatti, si manifestano, purtroppo, anche a distanza di anni. Ne sa qualcosa la Dott.ssa Benedetta Foà, psicologa, e già consulente del CAV Mangiagalli di Milano che, da anni, è impegnata nella cura della sindrome post-aborto.
La sua vocazione a questa opera, nasce, come lei stessa ama ricordare, a Medjugorie; la psicologa, infatti, è partita alla volta del paese delle apparizioni mariane nel 1995 come volontaria dell’associazione “A.R.P.A.” fondata da A. Bonifacio, in qualità di volontaria per gli aiuti umanitari: «E’ stato durante questo periodo – racconta la Dott.ssa Foà - che la parrocchia di Medjugorie ha chiamato in suo aiuto un esperto, il canadese dottor Philip Ney. Con lui abbiamo fatto un percorso di Counseling specifico su “Abuso sessuale e Aborto”. Questo seminario ha aiutato tutti (sacerdoti, suore, laici), ma a me ha veramente aperto un mondo fino a quel momento sconosciuto». A fronte di questo incontro la psicologa capì che, dopo gli anni necessari alla formazione universitaria, si sarebbe occupata di uomini e donne che soffrono “per non aver accettato la vita dei loro figli”.
Il frutto dei suoi studi, e della sua esperienza professionale, l’hanno portata a scrivere, come co-autrice, “Maternità interrotte”, un “manuale” in cui viene trattato il problema del post-aborto e le possibilità di cura; tra i vari progetti che la vedono in prima linea, c’è anche la costituzione di un centro a Milano che si occupa della cura e del recupero di coloro che soffrono del trauma identificato con il nome di “stress post-aborto”. Quello che può sembrare un comune trauma recuperabile in poco tempo, in realtà, può trasformarsi in un vero e proprio dramma, come spiega la dottoressa : «Dall’approvazione della legge 194 del 1978 solo in Italia sembra che ci siano stati 5.000.000 di aborti praticati: questo vuol dire che ci sono altrettante madri/padri che hanno perso uno o più figli. Non tutti stanno male nello stesso modo e con gli stessi tempi, ma quando ci si rende conto che un figlio manca all’appello, e che la responsabilità è propria, molti stanno veramente male. Ho ricevuto telefonate di donne che dopo 10/15 anni di distanza dall’aborto procurato sono cadute in una depressione tale da non riuscire più a lavorare, fino a non riuscire più ad uscire di casa».
L’aspetto più sorprendente, e al tempo stesso sconvolgente, è che lo stress post-aborto colpisce anche gli uomini quando, anche dopo molto tempo, si rendono conto di non aver accolto la vita dei loro figli : «Il pensiero si blocca e l’aborto che hanno fatto fare alla compagna può diventare un chiodo fisso, tanto da non farli progredire nel loro cammino di vita». Ed è presente anche nei bambini sopravvissuti all’aborto.
L’aborto è una piaga sociale ed umana, un dramma che continua ad essere sottovalutato da una cultura intrisa di relativismo etico che, troppo spesso, propone un modello completamente errato di libertà, fatto semplicemente di individualismo e totale assenza di responsabilità. Gli effetti dell’aborto, come ha ricordato la Dott.ssa Foà, non si ripercuotono solo sulla vita del bambino, che non potrà mai vedere la luce, ma anche su quella dei genitori, che, nel loro cammino personale, saranno inevitabilmente accompagnati da un macigno che continuerà a pesare sulle loro coscienze. In questa pagina abbiamo raccolto un elenco di studi scientifici sulla “sindrome post-aborto”, consigliato anche questo sito web specifico.
Nicola Terramagra
fonti: http://www.uccronline.it/2011/09/05/un-altro-studio-dimostra-che-laborto-danneggia-la-salute-della-donna/

la sindrome post aborto

Cinzia Baccaglini, laureata in Psicologia clinica e di comunità, è una delle massime esperte italiane della sindrome postaborto. In un’intervista apparsa su “La Bussola Quotidiana” racconta come ancora oggi siano in molti coloro che banalizzino l’aborto, anche se ormai moltissime ricerche scientifiche attestano esattamente il contrario. Nel mondo scientifico non c’è unità di vedute sul fatto che esista una “sindrome”, ossia un insieme di correlati psicopatologici sempre uguali che ricorrono tutti insieme in qualsiasi persona dopo un aborto. Non dovrebbero, invece, esserci problemi da parte di nessuno nel riconoscere che a seguito di un aborto volontario vi siano importanti conseguenze psichiche e l’onere della prova dell’opposto spetta a chi dice non esse esistano, non a chi le cura.
Fino a ora si sono evidenziati due quadri gnoseologici che ricorrono nella pratica clinica, che sono:
1) La “psicosi post-aborto”, che insorge in maniera eclatante subito dopo l’aborto.
 Questo è un disturbo di natura prevalentemente psichiatrica (sono molte le mamme che devono essere ricoverate in psichiatria a seguito di tentati suicidi o suicidi falliti, o che tentano di rubare i bambini degli altri, o che si presentano davanti alle scuole aspettando invano che il loro bimbo esca…).
2) Il “disturbo post-traumatico da stress”, che insorge tra i tre e i sei mesi successivi all’aborto e che rimane costante fino a quando viene elaborato, o che si aggrava all’aumentare di altre esperienze traumatiche. Esso consta di frequenti immagini e pensieri intrusivi; di flashback o incubi ricorrenti che fanno rivivere l’evento traumatico; di comportamenti persistenti di evitamento di circostanze associabili al trauma. A questi sintomi possono aggiungersi conseguenze anche sul piano fisico, come palpitazioni, inappetenza o disturbi dell’alimentazione, disturbi del sonno, che possono rimanere latenti anche parecchi decenni in maniera differente a seconda dell’età in cui si è abortito, dal contesto percepito come più o meno responsabile, dalla struttura di personalità, dalla vita condotta dopo l’aborto.
 Tra le conseguenze del “disturbo post-traumatico da stress”, non è raro l’abuso di alcol e droghe, che vengono utilizzate per cercare di dimenticare l’evento traumatico.
La dottoressa continua spiegando le differenze tra i disturbi psicologici in cui incorrono le donne che praticano un aborto chirurgico rispetto a quelle che utilizzano la pillola Ru486. Nel primo caso, durante l’anestesia, vi è un periodo in cui la donna non ha coscienza di ciò che accade, a differenza del vissuto vigile, attimo dopo attimo, che è prerogativa dell’aborto tramite la pillola RU486. Il fatto è ancora più grave in quanto, una volta iniziato l’iter abortivo, la donna non ha più alcuna possibilità di tornare indietro.
 L’impatto emotivo della RU486 è ben descritto dalle scene raccontate dalle donne che l’hanno utilizzata: molte di loro hanno visto l’embrione abortito, hanno vissuto il flusso emorragico, hanno provato dolori addominali e nausea, hanno avuto vomito e diarrea… e tutto questo in presa diretta, fino all’espulsione dell’embrione. Una volta che questo accade le reazioni sono molteplici: alcune donne gettano loro figlio nel water o nella spazzatura, altre vanno a seppellirlo in cimitero di nascosto. Nell’aborto chirurgico i sintomi non emergono subito, se non con uno scompenso psicotico, ma a distanza di mesi o di anni.
Discorso a parte andrebbe fatto anche per la pillola del giorno dopo, la quale interessa la tematica del “bambino fantasma” e la dicotomia “c’era-non c’era”. Non sappiamo con certezza se quel bimbo fosse stato concepito, ma dato che esistono fior di studi che dicono che le madri sanno di essere incinte prima di fare il test di gravidanza – e sanno persino di quanti bimbi! – non lo possiamo escludere. Le donne che chiedono aiuto rispetto a questa modalità di aborto in genere hanno la certezza di essere state incinte. In ogni caso, comunque, è sempre una sofferenza che va curata.  Si parla anche poco della sofferenza del padre del bimbo o di quella dei nonni o di quella dei fratelli. A questo proposito la Dott.ssa Cinzia Baccaglini ha raccontato uno dei suoi casi più eclatanti, dove una coppia ha avuto dei problemi con il loro figlio di 6 anni: non oltrepassava più la linea di mezzo della sua stanza e se veniva invitato caldamente a farlo andava in ansia, piangeva, si agitava e urlava di non poterlo fare. Mentre veniva visitato da lei, la madre le racconta che hanno traslocato per mancanza di spazio nella casa vecchia. A quel punto il piccolo è scoppiato a piangere: «No, non è vero. C’era spazio nella casa vecchia e anche in quella nuova, io ne uso solo metà. Poteva esserci anche il mio fratellino. Non lo dovevi lasciarlo in ospedale». 
A quel punto si è capito.  Pensare che c’è ancora chi giustifica l’aborto parlando di salute della donna e della famiglia.
fonti: http://www.uccronline.it/2011/09/05/un-altro-studio-dimostra-che-laborto-danneggia-la-salute-della-donna/

Chiara Lalli e l'aborto, un approccio poco scientifico

Sindrome post abortoLa ricercatrice Chiara Lalli, volto nuovo del relativismo laicista italiano, ama spaziare senza soluzione di continuità dal sostegno per l’eutanasia fino alla negazione dell’esistenza dell’anima (ricevendo risposte precise e puntuali su questo sito web).
La filosofa collabora con Il Corriere della Sera, dove è recentemente stata recensita la sua ultima fatica dedicata all’aborto: “La verità, vi prego, sull’aborto” (Fandango 2013). La missione che si è data è molto suggestiva: dopo l’eutanasia come “dolce morte”, ora è il momento di far passare anche l’idea dell’“aborto dolce”, tentando di normalizzare l’interruzione di gravidanza ad un banale intervento medico, una sorta di estrazione delle tonsille. Scrive: «Voglio esplorare una possibilità teorica che si possa scegliere di abortire, che lo si possa fare perché non si vuole un figlio o non se ne vuole un altro, che si possa decidere senza covare conflitti o sensi di colpa». La frase è agghiacciante, anche perché non si parla del feto umano come un agglomerato di cellule, ma proprio di “figlio”. Una lucida e consapevole ammissione di cosa è la soppressione di individuo umano, accettata con tranquillità.
In un intervento del 2005 anche lei è caduta nella fallacia utilitarista del considerare “persona” soltanto il soggetto che presenta «stati mentali coscienti e una pur rudimentale capacità di autocoscienza», quindi, ha concluso, «è abbastanza inverosimile attribuire all’embrione – sebbene umano e geneticamente irripetibile, e sebbene potenzialmente personale – queste caratteristiche». Se la Lalli avesse ragione, allora sarebbe lecito teorizzare l’infaticidio, come hanno fatto i ricercatori Minerva e Giubilini, responsabili della Consulta di Bioetica Laica, dato che nemmeno il neonato è dotato di coscienza e autocoscienza, così come centinaia di disabili e malati gravi. Embrioni, neonati e disabili apparterrebbero tutti alla non ben definita categoria degli esseri-umani-non-persone, ovvero individui che è lecito eliminare in quanto esseri umani privi diritti giuridici.
Tornando al nuovo libro della Lalli, la ricercatrice ha impostato il suo lavoro attraverso interviste a donne contente di aver abortito (selezionate in che modo? estranee? sue amiche?) e sopratutto ha tentato di confutare l’esistenza della cosiddetta Sindrome Post Aborto (PAS), il disturbo prevalentemente psichiatrico che insorge frequentemente dopo l’aborto e che rimane costante fino a quando viene elaborato, o si aggrava all’aumentare di altre esperienze traumatiche. Secondo la recensione de Il Corriere, la Lalli ha cercato di demolire l’esistenza di tale disturbo tramite alcuni studi. Il primo è quello del 2012 realizzato dall’American Pubblic Healt Association Meeting, che però ha valutato le donne soltanto entro la prima settimana mentre sappiamo che il “disturbo post-traumatico da stress” insorge solitamente tra i tre e i sei mesi successivi all’aborto, come ha spiegato la psicologa e psicoterapeuta Cinzia Baccaglini, tra le massime esperte italiane.
E’ stato poi citato il lavoro di Nada Logan Stotland, che però è in realtà un semplice libro intitolato “The Myth of the Abortion Trauma Syndrome” (la Stotland è inoltre una abortista convinta, come si evince dai suoi articoli sull’Huffington Post), e di quello realizzato negli anni ’90 da Brenda Major (e altri), dove però -al contrario della Lalli- si riconosce l’esistenza di disturbi post aborto, seppure in bassa percentuale (inoltre, il 72% del campione analizzato nello studio riferisce comunque dei danni dall’aborto, seppur considerati, dalle stesse donne intervistate, minori rispetto ai presunti benefici addotti a giustificazione dell’aborto). Probabilmente verranno citati altri studi, ma quasi certamente (pronti ad essere smentiti) nel libro non si parla della revisione sistematica realizzata nel 2008 e pubblicata su Contraception (rivista americana considerata schierata in versione pro-choice), la quale, valutando tutti gli studi tra il 1989 e il 2008, ha rilevato che quelli di scarsa qualità e con metodologia più difettosa erano proprio quelli che negavano l’esistenza di un legame tra l’aborto e una peggior salute mentale.
Probabilmente (pronti ad essere smentiti) la Lalli non ha nemmeno citato l’infinità di studi scientifici che dicono proprio l’opposto della sua tesi, i quali dimostrano quanto l’aborto possa danneggiare la salute mentale delle donne. Sul nostro sito web abbiamo raccolto in un dossier molti di questi studi: citiamo, come esempio, lo studio del 2008 pubblicato dal British Journal of Psychiatry, dove si evidenzia un “moderato” aumento di disturbi mentali per le donne che hanno avuto aborti indotti. Nel 2011, sempre il British Journal of Psychiatry ha cambiato idea dopo aver analizzato la più grande stima quantitativa dei rischi per la salute mentale associati all’aborto disponibili nella letteratura mondiale. Verificando 22 studi e 877.181 partecipanti si è arrivati a questa conclusione: le donne che hanno subito un aborto presentano un rischio maggiore dell’81% di avere problemi di salute mentale e queste informazioni devono essere comunicate a chi fornisce servizi per l’aborto. Presupponiamo che Chiara Lalli non sarà d’accordo con il British Journal of Psychiatry, ma questo probabilmente non interesserà ai ricercatori inglesi. Nel 2008, perfino il Royal College of Psychiatrists ha abbattuto la missione dell’”aborto dolce” mettendo chiaramente in guardia, come riporta il Time, sul fatto che «le donne possono essere a rischio di problemi di salute mentale se hanno aborti», e addirittura che «non dovrebbe essere consentito di avere un aborto fino a quando non vengono valutati i possibili rischi per la loro salute mentale».
 fonti http://www.uccronline.it/2011/09/05/

sabato 31 agosto 2013

"Paternità": riproduzione dell'opera di Torresin Pietro



 

"Maternità" : riproduzione dell'opera di Torresin Pietro

"Maternità" : riproduzione dell'opera di Torresin Pietro

fonte: vitanascente.blogspot.com/




"Tuo figlio autistico disturba ed è inutile, sbarazzatene"

Canada: una lettera anonima di una vicina incita la madre a disfarsi di suo figlio donando i suoi organi alla scienza. "Disturba ed è inutile" 

Può capitare a tutti di avere dei problemi.
Questa signora di Newcastle, nello stato di Ontario, Canada, ha un figlio autistico e dei vicini di casa poco simpatici. Il problema però non è la prima cosa, ma la seconda. 
Infatti ha ricevuto questa simpatica lettera anonima di una vicina la quale, con uno stile tutt'altro che anonimo ma anzi minaccioso, dà un consiglio a questa madre che suona come un ordine. 
Devi sbarazzarti di tuo figlio autistico, perché ci disturba. 
Non ci credete? La lettera è quella nella foto in basso. 
Afferma la signora nella lettera che "il rumore che fa è SPAVENTOSO!!!! " ( i quattro punti esclamativi e il maiuscolo sono nella lettera; come gli esperti confermano è sintomo di una personalità calma e riflessiva). La cosa suona strana, dato che gli autistici normalmente detestano il rumore. Ad ogni modo le manifestazioni di questo bambino sono, a quanto pare, al di là della sottile soglia di sopportazione della vicina. 
Ma, a ben vedere, non è la quantità di rumore il problema. E' la "anormalità" di chi lo produce. 
Dice infatti la buona donna che "bambini che piangono, musica e anche cani che abbaiano sono rumori normali in un quartiere residenziale, lui non lo è!" 
Possiamo quindi immaginare lo sgomento della signora nel sapere che là fuori, nel suo bellissimo quartiere dove non vola una mosca e vige un inflessibile "not in my backyard", c'è un bambino che produce suoni spaventosi. 
Anzi, non dobbiamo neppure immaginare la location: perché dal satellite possiamo vedere che il quartiere in questione è proprio come ci possiamo figurare. Un ameno ma anonimo quartiere di case tutte uguali, di quelle che le casalinghe non ancora disperate sognano .  
Ma non basta, il meglio deve ancora venire. 
La gentile vicina non è contenta di far sapere alla madre del ragazzo che suo figlio produce suoni orribili. Decide di ferire la madre nel profondo, e sa come fare. 
Elenca infatti come conseguenze inevitabili quelle che sono le peggiori paure della madre: tuo figlio non troverà mai un lavoro o una sistemazione, nessuna donna se lo sposerà mai, rimarrà solo dopo la tua morte. Il consiglio della signora è, potremmo dire, interessante. "Per quanto mi riguarda, dovrebbero prendere quel che di lui è sano e darlo alla scienza". Aggiunge: "A che diavolo altro potrebbe servire lui per chiunque altro?" 
La lettera termina con un altro messaggio chiaro: vattene, sparisci. Non ti vogliamo. 
Non credo che la società in cui viviamo, la sensibilità comune che si riscontra giorno dopo giorno, sia già così ottusa dal non vedere in questa lettera niente di sbagliato, oltre al tono minaccioso e vagamente psicotico. Potremmo anzi dire che, se in quel quartiere c'è un bambino che ha bisogno di speciali attenzioni, di sicuro c'è anche una donna che ne ha necessità.
Ma siamo certi che questa idea per cui non si ha un diritto assoluto a vivere, ma subordinato ad alcune condizioni, sia così inedita? 
Siamo poi così lontani da quelli che dicono che un bambino esiste solo quando può "relazionarsi" con l'esterno? Quindi, a seconda della qualità minima richiesta della relazione, sempre più in là dal concepimento? Siamo poi così lontani da quelli che parlano di "vite degne" di essere vissute e condizioni di vita così orribili da reclamare un intervento per porre fine ad esse, sacrificando però la vita? 
Io penso di no. 
Quindi, delle due l'una: o questa signora psicotica ha un qualcosa in comune con i fautori della bioetica utilitaristica, o l'esatto contrario. 
Ditemi voi. 
fonte: Prolife.it Giovani Movimento per la Vita Italiano: "Tuo figlio autistico disturba ed è inutile, sbara...: Canada: una lettera anonima di una vicina incita la madre a disfarsi di suo figlio donando i suoi organi alla scienza. "Disturba...

mercoledì 28 agosto 2013

Lui e l'aborto

Lui e l'aborto

padre e bambino
Lui e l’aborto: il primo e unico video in Italia sul tema. Intervento di Antonello Vanni, autore di Lui e l’aborto. Viaggio nel cuore maschile (San Paolo Ed.) al Maternity Care del MPV italiano, Torino, 13 aprile 2013: l’uomo e l’aborto in Italia, i pregiudizi sulla figura maschile, il trauma postabortivo maschile, il padre risorsa per salvare i bambini dall’aborto.
Clicca qui per vedere il video

fonte: prolifenews.it

domenica 25 agosto 2013

Ciò che il buon senso già sa, la scienza conferma

Feto umano

di Stefano Bruni*
*pediatra

 
Tanto per cominciare, sgombriamo subito il campo da possibili equivoci. La vita umana è tale, e come tale va rispettata, dal momento del concepimento al momento del suo termine ultimo.
Ciò che viene a determinarsi a seguito dell’unione di uno spermatozoo e di una cellula uovo umani è un nuovo essere umano vivente, unico ed irripetibile che, in un susseguirsi progressivo di quotidiani e meravigliosi eventi maturativi arriva ad essere, in condizioni fisiologiche in un periodo di nove mesi, quella meravigliosa creatura che è il neonato. Il quale, a sua volta, è solo uno stadio intermedio, ma non per questo meno perfetto o meno umano, di ciò che progressivamente diventerà un bambino, poi un adolescente, quindi un giovane uomo e un adulto e infine un anziano.
In questo continuo processo di sviluppo, lo zigote unicellulare di 0,1 mm di diametro circa (concepito nell’utero materno in maniera naturale ma anche prodotto in laboratorio e poi congelato), il feto in ogni stadio della sua progressiva maturazione, il neonato medio di 3,500 kg di peso per 50 cm di lunghezza, l’adulto di 70 kg e 175 cm e persino il malato terminale sceso a 35 kg di peso, tutto pelle e ossa e sofferenza, tutti sono espressione dello stesso essere umano la cui vita NON è nella disponibilità degli altri esseri umani, nemmeno in quella dei suoi cari, in primis della sua mamma.
La dignità dell’essere umano è indipendente dal numero di cellule da cui è composto il suo corpo o dal grado di maturazione dei suoi organi ed apparati, ivi incluso il sistema nervoso centrale (che, lo ricordo, non è completamente maturo fino all’età adulta, come, tra gli altri e solo a mero scopo esemplificativo, gli studi della dottoressa Sarah-Jayne Blakemore, dell’University College di Londra, hanno ampiamente dimostrato). Così come è indipendente dalle sue competenze, dalla sua coscienza di se stesso, dalla sua abilità a sopravvivere autonomamente, dalle sue capacità di rapportarsi con l’ambiente e gli altri esseri umani, dal suo stato di salute.
Dunque sopprimere la vita di un essere umano, anche se ancora in sviluppo nel grembo materno, magari da alcuni anni non è più considerato un omicidio grazie ad una legge che lo permette e lo rende “legale”, ma resta un assassinio intollerabile, tanto più perché atto violento compiuto contro un essere umano indifeso e per di più proprio da coloro (genitori e medici) che della vita umana dovrebbero maggiormente avere cura. E lo stesso vale per l’uccisione di un bambino nei primi mesi di vita, da alcuni teorizzato sulla base delle supposte “incompetenze” di quest’ultimo, sano o malato che sia (personaggi come Singer o la Warren o Tooley, sono arrivati a teorizzare l’eticità dell’uccisione di bambini dopo la nascita così come quella dei feti prima della nascita e le loro teorie hanno portato, tra l’altro, ad aberrazioni come il Protocollo di Groningen proposto da Eduard Verhagen nel 2005).
Date le suddette premesse trovo comunque molto interessanti i risultati dei nuovi studi scientifici che, in maniera assolutamente rigorosa, ogni giorno vengono pubblicati e ci spiegano come il bambino piccolo o il feto abbiano, a dispetto di quanto qualche loro detrattore si ostina a voler far credere, competenze assolutamente meravigliose se contestualizzate alle loro “proporzioni”, piccole se paragonate a quelle di un essere umano adulto. Semplicemente, oggi chi sostiene che un feto o un neonato o un bambino piccolo possono essere ammazzati in quanto non hanno competenze che si vorrebbero appannaggio solo dell’età adulta, deve prendere atto che le basi su cui poggia il proprio ragionamento non sussistono più (sempre che siano mai state una giustificazione accettabile, il che non è). Ogni giorno, nuove acquisizioni scientifiche ci dicono che l’essere umano è uno solo in tutte le fasi del suo sviluppo che sono un continuum e non c’è un dopo senza un prima; dunque non si può stabilire una “gradazione” di dignità o personalità o diritto alla vita. Almeno non se si è in buona fede.
Lo scorso Aprile, su Science (credo di non dover specificare che si tratta di una rivista scientifica peer reviewed  tra le più prestigiose) un gruppo europeo di esperti nel campo delle neuroscienze ha pubblicato i risultati di un interessante studio effettuato su un gruppo di bambini di 5, 12 e 15 mesi di vita, volto all’individuazione di un marker neurologico di coscienza percettiva. L’articolo è un po’ complesso per i non esperti ma in estrema sintesi proverò in modo semplice a spiegare cos’hanno fatto gli autori e quali sono stati i loro risultati.
Come nell’introduzione al loro lavoro dicono gli autori stessi, oggi sappiamo bene che i bambini, già dai primi mesi di vita, hanno un sofisticato repertorio comportamentale e cognitivo suggestivo della loro abilità a presentare riflessi coscienti. Tuttavia nel bimbo, che non può ancora parlare e manifestare chiaramente i propri pensieri, la dimostrazione di ciò è complicata. Questi ricercatori dunque hanno pensato di applicare ai bambini una tecnica già consolidata negli adulti per dimostrare la presenza della coscienza attraverso l’evidenza di uno specifico dato elettrofisiologico; nello specifico questa “firma” elettrofisiologica corrisponde ad una risposta corticale tardiva non lineare che viene attivata dalla visualizzazione di immagini mostrate al soggetto in studio per un breve periodo.
Nel soggetto adulto la risposta del cervello ad uno stimolo visivo (registrabile con opportuni strumenti non invasivi) si caratterizza per una prima fase (entro i primi 200-300 ms dallo stimolo) in cui l’attivazione della corteccia procede linearmente con l’intensità dello stimolo e in una seconda fase ( dopo i primi 300 ms, nei soggetti con coscienza intatta) con una nuova risposta più complessa, non lineare, appunto, espressione dell’attivazione di più aree cerebrali. Questa seconda fase permette il mantenimento della rappresentazione percettiva anche molto tempo dopo che la somministrazione dello  stimolo è cessata e corrisponde ai report soggettivi di visione. In altre parole solo la presenza della seconda fase descritta abilita l’individuo all’esperienza visiva cosciente.
Ebbene, applicando la stessa tecnica a bambini di 5, 12 e 15 mesi di età i ricercatori hanno trovato le stesse dinamiche note per l’adulto. Unica differenza: tempi di latenza (un po’ più lunghi), picchi di voltaggio e “forma” delle componenti del riflesso sono quantitativamente un po’ diverse rispetto a quanto evidenziato nei bimbi di 12-15 mesi che hanno caratteristiche più vicine a quelle dell’adulto. Ciò è evidentemente da mettere in relazione con lo stato maturativo (progressivo) delle strutture cerebrali e in particolare con la mielinizzazione di strutture che sappiamo bene comunque essere già presenti nel lattante e, prima ancora, nel feto, e con lo sviluppo dei dendriti e la sinaptogenesi che, iniziate ben prima della nascita, presentano un particolare incremento alla fine del primo anno di vita (per poi continuare per molto tempo successivamente). Questo studio dimostra quindi come anche i bambini molto piccoli sono dotati degli stessi meccanismi cerebrali responsabili della percezione cosciente la quale dunque è già presente in epoche molto precoci dello sviluppo e continua ed accelera durante lo sviluppo postnatale.
In un mio articolo precedente avevo riferito di analoghe prove, dirette e indirette, che ci permettono di affermare scientificamente che anche nel feto questa percezione cosciente è evidenziabile in epoche molto precoci dello sviluppo. Certo le suddette informazioni non possono e non devono costituire il presupposto per la scelta di un termine, del tutto arbitrario e pretestuoso, prima del quale si possa considerare lecito sopprimere una vita umana: mai è lecito sopprimere una vita umana, come già sottolineato in precedenza, perché (e questo è il valore degli studi che ho riportato) ogni momento del suo sviluppo chiaramente e inconfutabilmente rappresenta una tappa di un continuum che è la vita umana.
Non è certo perché lo dice la scienza che io credo che l’embrione, il feto, il bambino piccolo non possono essere uccisi. È semplicemente il buon senso che mi dice che io sono stato un embrione e che quell’embrione era semplicemente e meravigliosamente il primo stadio del mio sviluppo; e poi sono stato un neonato, incapace di compiere calcoli matematici o imparare poesie a memoria o guadagnarmi da vivere, dipendente com’ero per la mia stessa sopravvivenza dalla mia mamma; e poi sono stato un adolescente brufoloso, spesso più istintivo che razionale, ombroso; ed ora sono un adulto (nemmeno più troppo giovane, ahimè!). Sono stato tutto questo e tanto altro ancora dovrò essere: in altre parole sono stato, sono e sempre sarò uomo. E mi seccherebbe parecchio, ora, se qualcuno, ormai diversi anni fa, avesse deciso che non ero degno di vivere perché “incompetente”.
Il buon senso mi convince già abbastanza, dunque. Però la scienza, che alcuni vorrebbero usare per sostenere la liceità di aborto e infanticidio, al contrario mi sembra chiaro che contribuisce a rafforzare l’idea opposta.
Fonte: uccronline.it