martedì 27 marzo 2012

Testimonianza presentata all’incontro dal titolo “ Liberi per vivere- Amare la vita fino alla fine” del 30.9.2011 e alla veglia vicariale del 24 marzo

Sono trascorsi ormai dodici anni da quando notai, in una chiesa, una locandina che indicava l’inizio di un corso di formazione per volontari Ceav (cancro e assistenza volontaria). Pensai che sarebbe stato un modo concreto di vivere il cristianesimo: “Ero malato e mi avete visitato”. Anche se consideravo le difficoltà umane e psicologiche che avrei incontrato, il desiderio di fare questa esperienza era più forte delle mie resistenze. E così dopo aver prestato servizio per dieci anni nell’ Unità Operativa di Radioterapia, da due anni svolgo l’assistenza presso l’Hospice Paolo VI dell’Opera Immacolata Concezione.
Ho imparato che la sofferenza e la percezione della morte acuiscono la sensibilità tanto da lasciarmi sovente meravigliata di quanto sia facile, in tali momenti, entrare in confidenza e creare profondi rapporti di amicizia. Quanta luce può portare la parola di una persona cara, una frase di incoraggiamento, un segno di attenzione, un gesto affettuoso e quanto fa bene al cuore sentire la compartecipazione e l’umana solidarietà!
Ho conosciuto il dolore per la perdita di tante persone che amavo e il senso di impotenza che accompagnava il progredire della malattia, ma è stata anche l’opportunità per una crescita spirituale. Ora vivo molto più intensamente ogni attimo che Dio mi dona e riesco ad assaporare sempre di più le meraviglie della natura: il sorriso di un bimbo, la magia di un tramonto o l’incanto di un cielo trapuntato di stelle. Sì, adesso mi sento ricca: arricchita da tante relazioni che mi hanno fatto percepire la gioia di amare e di essere amata. I malati che ho incontrato hanno segnato la mia vita e inciso i loro nomi nel mio cuore.
A volte mi sembra di rivedere i loro volti, di riascoltare le loro voci, di rivivere certi istanti… Quando la morte si avvicina si avvertono tristezza e sofferenza, ma ci possono essere ancora gioia, vita e moti dell’anima. All’improvviso mi torna in mente Cristiano, che a quaranta anni, si trovava pressoché immobile in un letto, privato persino della parola, ma i suoi occhi dolcissimi erano scintillanti di vita. E poi si chiusero per non aprirsi più, ma appena avvertiva la mia voce, cercava la mia mano e la stringeva con forza tenendola a lungo sopra il cuore: era una comunicazione che mi commoveva e mi inteneriva.
Ne sono più che mai certa, la vita è un dono prezioso e deve essere vissuta sino alla fine, è indispensabile, però, che ci sia la grazia di un’amicizia e di una compagnia che ci soccorra e ci incoraggi. Allora la morte, che tanto ci inquieta e ci spaventa, potrà essere accettata con rassegnazione e abbandono.
La capacità di attenzione alle situazioni di massima fragilità dell’esistenza è l’indice di civiltà che una società è capace di esprimere. E’ una responsabilità che coinvolge tutti. Prenderci cura delle persone in “fine-vita” è l’unica risposta non ideologica che può contrastare la cultura della morte, cercata e provocata, sottesa alle procedure di eutanasia.
Anche nelle situazioni più difficili, poiché oggi le cure palliative sono così sviluppate da poter agire con grande efficacia sul controllo del dolore, è quanto mai doveroso non privilegiare scelte che inducano all’anticipazione del decesso, ma quelle a sostegno della persona in modo che, l’andare verso la fine, possa essere un vivere autentico. Deve sempre prevalere l’etica del rispetto della vita e della dignità dell’uomo.
Nel silenzio del cuore sento che nulla andrà perduto di quello che abbiamo donato con gratuità e amore e mi piace pensare che un giorno, forse non troppo lontano, ci troveremo nello stupore e nella meraviglia, teneramente abbracciati a tutti coloro che abbiamo accompagnato fin sulla soglia…

Vanda

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