Sono trascorsi ormai dodici anni da quando notai, in una chiesa, una locandina che indicava l’inizio di un corso di formazione per volontari Ceav (cancro e assistenza volontaria). Pensai che sarebbe stato un modo concreto di vivere il cristianesimo: “Ero malato e mi avete visitato”. Anche se consideravo le difficoltà umane e psicologiche che avrei incontrato, il desiderio di fare questa esperienza era più forte delle mie resistenze. E così dopo aver prestato servizio per dieci anni nell’ Unità Operativa di Radioterapia, da due anni svolgo l’assistenza presso l’Hospice Paolo VI dell’Opera Immacolata Concezione.
Ho imparato che la sofferenza e la percezione della morte acuiscono la sensibilità tanto da lasciarmi sovente meravigliata di quanto sia facile, in tali momenti, entrare in confidenza e creare profondi rapporti di amicizia. Quanta luce può portare la parola di una persona cara, una frase di incoraggiamento, un segno di attenzione, un gesto affettuoso e quanto fa bene al cuore sentire la compartecipazione e l’umana solidarietà!
Ho conosciuto il dolore per la perdita di tante persone che amavo e il senso di impotenza che accompagnava il progredire della malattia, ma è stata anche l’opportunità per una crescita spirituale. Ora vivo molto più intensamente ogni attimo che Dio mi dona e riesco ad assaporare sempre di più le meraviglie della natura: il sorriso di un bimbo, la magia di un tramonto o l’incanto di un cielo trapuntato di stelle. Sì, adesso mi sento ricca: arricchita da tante relazioni che mi hanno fatto percepire la gioia di amare e di essere amata. I malati che ho incontrato hanno segnato la mia vita e inciso i loro nomi nel mio cuore.
A volte mi sembra di rivedere i loro volti, di riascoltare le loro voci, di rivivere certi istanti… Quando la morte si avvicina si avvertono tristezza e sofferenza, ma ci possono essere ancora gioia, vita e moti dell’anima. All’improvviso mi torna in mente Cristiano, che a quaranta anni, si trovava pressoché immobile in un letto, privato persino della parola, ma i suoi occhi dolcissimi erano scintillanti di vita. E poi si chiusero per non aprirsi più, ma appena avvertiva la mia voce, cercava la mia mano e la stringeva con forza tenendola a lungo sopra il cuore: era una comunicazione che mi commoveva e mi inteneriva.
Ne sono più che mai certa, la vita è un dono prezioso e deve essere vissuta sino alla fine, è indispensabile, però, che ci sia la grazia di un’amicizia e di una compagnia che ci soccorra e ci incoraggi. Allora la morte, che tanto ci inquieta e ci spaventa, potrà essere accettata con rassegnazione e abbandono.
La capacità di attenzione alle situazioni di massima fragilità dell’esistenza è l’indice di civiltà che una società è capace di esprimere. E’ una responsabilità che coinvolge tutti. Prenderci cura delle persone in “fine-vita” è l’unica risposta non ideologica che può contrastare la cultura della morte, cercata e provocata, sottesa alle procedure di eutanasia.
Anche nelle situazioni più difficili, poiché oggi le cure palliative sono così sviluppate da poter agire con grande efficacia sul controllo del dolore, è quanto mai doveroso non privilegiare scelte che inducano all’anticipazione del decesso, ma quelle a sostegno della persona in modo che, l’andare verso la fine, possa essere un vivere autentico. Deve sempre prevalere l’etica del rispetto della vita e della dignità dell’uomo.
Nel silenzio del cuore sento che nulla andrà perduto di quello che abbiamo donato con gratuità e amore e mi piace pensare che un giorno, forse non troppo lontano, ci troveremo nello stupore e nella meraviglia, teneramente abbracciati a tutti coloro che abbiamo accompagnato fin sulla soglia…
Vanda
Stupenda testimonianza di umanità e Amore
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