di Stefano Bruni*
*pediatra
Tanto per cominciare, sgombriamo subito il campo da possibili equivoci. La vita umana è tale, e come tale va rispettata, dal momento del concepimento al momento del suo termine ultimo.
Ciò che viene a determinarsi a seguito
dell’unione di uno spermatozoo e di una cellula uovo umani è un nuovo
essere umano vivente, unico ed irripetibile che, in un
susseguirsi progressivo di quotidiani e meravigliosi eventi maturativi
arriva ad essere, in condizioni fisiologiche in un periodo di nove mesi,
quella meravigliosa creatura che è il neonato. Il quale, a sua volta, è solo uno stadio intermedio,
ma non per questo meno perfetto o meno umano, di ciò che
progressivamente diventerà un bambino, poi un adolescente, quindi un
giovane uomo e un adulto e infine un anziano.
In questo continuo processo di sviluppo,
lo zigote unicellulare di 0,1 mm di diametro circa (concepito
nell’utero materno in maniera naturale ma anche prodotto in laboratorio e
poi congelato), il feto in ogni stadio della sua progressiva
maturazione, il neonato medio di 3,500 kg di peso per 50 cm di
lunghezza, l’adulto di 70 kg e 175 cm e persino il malato terminale
sceso a 35 kg di peso, tutto pelle e ossa e sofferenza, tutti sono espressione
dello stesso essere umano la cui vita NON è nella disponibilità degli
altri esseri umani, nemmeno in quella dei suoi cari, in primis della sua
mamma.
La dignità dell’essere umano è indipendente dal numero di cellule da cui è composto il suo corpo o dal grado di maturazione
dei suoi organi ed apparati, ivi incluso il sistema nervoso centrale
(che, lo ricordo, non è completamente maturo fino all’età adulta, come,
tra gli altri e solo a mero scopo esemplificativo, gli studi della
dottoressa Sarah-Jayne Blakemore, dell’University College di Londra, hanno ampiamente dimostrato). Così come è indipendente
dalle sue competenze, dalla sua coscienza di se stesso, dalla sua
abilità a sopravvivere autonomamente, dalle sue capacità di rapportarsi
con l’ambiente e gli altri esseri umani, dal suo stato di salute.
Dunque sopprimere la vita di un essere
umano, anche se ancora in sviluppo nel grembo materno, magari da alcuni
anni non è più considerato un omicidio grazie ad una legge che lo
permette e lo rende “legale”, ma resta un assassinio intollerabile,
tanto più perché atto violento compiuto contro un essere umano indifeso
e per di più proprio da coloro (genitori e medici) che della vita umana
dovrebbero maggiormente avere cura. E lo stesso vale
per l’uccisione di un bambino nei primi mesi di vita, da alcuni
teorizzato sulla base delle supposte “incompetenze” di quest’ultimo,
sano o malato che sia (personaggi come Singer o la Warren o Tooley, sono
arrivati a teorizzare l’eticità dell’uccisione di bambini dopo la
nascita così come quella dei feti prima della nascita e le loro teorie
hanno portato, tra l’altro, ad aberrazioni come il Protocollo di Groningen proposto da Eduard Verhagen nel 2005).
Date le suddette premesse trovo comunque molto interessanti i risultati dei nuovi studi scientifici
che, in maniera assolutamente rigorosa, ogni giorno vengono pubblicati e
ci spiegano come il bambino piccolo o il feto abbiano, a dispetto di
quanto qualche loro detrattore si ostina a voler far credere, competenze assolutamente meravigliose
se contestualizzate alle loro “proporzioni”, piccole se paragonate a
quelle di un essere umano adulto. Semplicemente, oggi chi sostiene che
un feto o un neonato o un bambino piccolo possono essere ammazzati in
quanto non hanno competenze che si vorrebbero appannaggio solo dell’età
adulta, deve prendere atto che le basi su cui poggia il proprio
ragionamento non sussistono più (sempre che siano mai
state una giustificazione accettabile, il che non è). Ogni giorno, nuove
acquisizioni scientifiche ci dicono che l’essere umano è uno solo in tutte le fasi del suo sviluppo che sono un continuum
e non c’è un dopo senza un prima; dunque non si può stabilire una
“gradazione” di dignità o personalità o diritto alla vita. Almeno non se
si è in buona fede.
Lo scorso Aprile, su Science (credo di non dover specificare che si tratta di una rivista scientifica peer reviewed
tra le più prestigiose) un gruppo europeo di esperti nel campo delle
neuroscienze ha pubblicato i risultati di un interessante studio
effettuato su un gruppo di bambini di 5, 12 e 15 mesi di vita, volto
all’individuazione di un marker neurologico di coscienza percettiva.
L’articolo è un po’ complesso per i non esperti ma in estrema sintesi
proverò in modo semplice a spiegare cos’hanno fatto gli autori e quali
sono stati i loro risultati.
Come nell’introduzione al loro lavoro
dicono gli autori stessi, oggi sappiamo bene che i bambini, già dai
primi mesi di vita, hanno un sofisticato repertorio comportamentale e cognitivo
suggestivo della loro abilità a presentare riflessi coscienti. Tuttavia
nel bimbo, che non può ancora parlare e manifestare chiaramente i
propri pensieri, la dimostrazione di ciò è complicata. Questi
ricercatori dunque hanno pensato di applicare ai bambini una tecnica già
consolidata negli adulti per dimostrare la presenza della coscienza
attraverso l’evidenza di uno specifico dato elettrofisiologico; nello
specifico questa “firma” elettrofisiologica corrisponde ad una risposta
corticale tardiva non lineare che viene attivata dalla visualizzazione
di immagini mostrate al soggetto in studio per un breve periodo.
Nel soggetto adulto la
risposta del cervello ad uno stimolo visivo (registrabile con opportuni
strumenti non invasivi) si caratterizza per una prima fase (entro i
primi 200-300 ms dallo stimolo) in cui l’attivazione della corteccia
procede linearmente con l’intensità dello stimolo e in una seconda fase (
dopo i primi 300 ms, nei soggetti con coscienza intatta) con una nuova
risposta più complessa, non lineare, appunto, espressione
dell’attivazione di più aree cerebrali. Questa seconda fase permette il
mantenimento della rappresentazione percettiva anche molto tempo dopo
che la somministrazione dello stimolo è cessata e corrisponde ai report
soggettivi di visione. In altre parole solo la presenza della seconda
fase descritta abilita l’individuo all’esperienza visiva cosciente.
Ebbene, applicando la stessa tecnica a bambini di 5, 12 e 15 mesi di età i ricercatori hanno trovato le stesse dinamiche
note per l’adulto. Unica differenza: tempi di latenza (un po’ più
lunghi), picchi di voltaggio e “forma” delle componenti del riflesso
sono quantitativamente un po’ diverse rispetto a quanto evidenziato nei
bimbi di 12-15 mesi che hanno caratteristiche più vicine a quelle
dell’adulto. Ciò è evidentemente da mettere in relazione con lo stato
maturativo (progressivo) delle strutture cerebrali e in particolare con
la mielinizzazione di strutture che sappiamo bene comunque essere già presenti
nel lattante e, prima ancora, nel feto, e con lo sviluppo dei dendriti e
la sinaptogenesi che, iniziate ben prima della nascita, presentano un
particolare incremento alla fine del primo anno di vita (per poi
continuare per molto tempo successivamente). Questo studio dimostra
quindi come anche i bambini molto piccoli sono dotati degli stessi meccanismi cerebrali
responsabili della percezione cosciente la quale dunque è già presente
in epoche molto precoci dello sviluppo e continua ed accelera durante lo
sviluppo postnatale.
In un mio articolo precedente avevo riferito di analoghe prove, dirette e indirette, che ci permettono di affermare scientificamente che anche nel feto
questa percezione cosciente è evidenziabile in epoche molto precoci
dello sviluppo. Certo le suddette informazioni non possono e non devono
costituire il presupposto per la scelta di un termine, del tutto
arbitrario e pretestuoso, prima del quale si possa considerare lecito
sopprimere una vita umana: mai è lecito sopprimere una vita umana, come
già sottolineato in precedenza, perché (e questo è il valore degli studi
che ho riportato) ogni momento del suo sviluppo chiaramente e
inconfutabilmente rappresenta una tappa di un continuum che è la vita
umana.
Non è certo perché lo dice la scienza che io credo che l’embrione, il feto, il bambino piccolo non possono essere uccisi. È semplicemente il buon senso che mi dice che io sono stato un embrione e che quell’embrione era semplicemente e meravigliosamente il primo stadio del mio sviluppo; e poi sono stato un neonato,
incapace di compiere calcoli matematici o imparare poesie a memoria o
guadagnarmi da vivere, dipendente com’ero per la mia stessa
sopravvivenza dalla mia mamma; e poi sono stato un adolescente brufoloso, spesso più istintivo che razionale, ombroso; ed ora sono un adulto
(nemmeno più troppo giovane, ahimè!). Sono stato tutto questo e tanto
altro ancora dovrò essere: in altre parole sono stato, sono e sempre
sarò uomo. E mi seccherebbe parecchio, ora, se qualcuno, ormai diversi
anni fa, avesse deciso che non ero degno di vivere perché
“incompetente”.
Il buon senso mi
convince già abbastanza, dunque. Però la scienza, che alcuni vorrebbero
usare per sostenere la liceità di aborto e infanticidio, al contrario mi
sembra chiaro che contribuisce a rafforzare l’idea opposta.
Fonte: uccronline.it
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