lunedì 30 settembre 2013
Prolife.it Giovani Movimento per la Vita Italiano: L’antilingua: l’aborto in altre parole.
Prolife.it Giovani Movimento per la Vita Italiano: L’antilingua: l’aborto in altre parole.: Ora spunta l’ipotesi di “contraccezione post fertilizzazione”, l’ennesimo ritrovato abortivo. Da sempre il linguaggio della propaganda h...
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Prolife.it Giovani Movimento per la Vita Italiano: Libri: La terapia dell'accoglienza e il figlio ter...: Due volumi curati da La Quercia Millenaria Onlus, con le testimonianze delle famiglie che hanno accolto incondizionatamente i propri fi...
giovedì 26 settembre 2013
Prolife.it Giovani Movimento per la Vita Italiano: Miracolo d’amore: non il film natalizio, ma la rea...
Prolife.it Giovani Movimento per la Vita Italiano: Miracolo d’amore: non il film natalizio, ma la rea...: La mamma in coma da alla luce la bimba e poi si sveglia. Mi ha sempre affascinata un detto ebraico, un detto che con una semplicità ...
martedì 17 settembre 2013
testimonianza: con l'adozione ho salvato mio figlio
Oggi ho conosciuto una giovane donna meravigliosa, ha voluto lasciarci questa bella testimonianza di vita, amore e speranza...la pubblico di buon grado perchè penso che sia preziosa e potrebbe senz'altro contribuire a salvare delle vite umane. Giustamente l'autrice desidera mantenere l'anonimato ed è giusto rispettare questa sua volontà.
Desidero scrivere questa mia testimonianza per tutte le donne che stanno pensando ad un’alternativa all’aborto: l’adozione
Desidero scrivere questa mia testimonianza per tutte le donne che stanno pensando ad un’alternativa all’aborto: l’adozione

Sono stata molto vicina all'IVG, e ora leggendo le testimonianze di ragazze che hanno intrapreso questa scelta, soprattutto quando non erano convinte, ringrazio il cielo dell'esistenza di questo progetto.
Se ho sofferto? Certo!
Se penso a mio figlio? Ogni giorno !!
Se mi manca ? Ovvio!!! Ma dal momento in cui l'ho partorito, e per un attimo l'ho visto...così sano, bello, bianco e rosa... beh, non mi è importato più molto di non potergli dare il mio cognome. Sono entrata in ospedale piangendo...sono uscita volando!! Il cuore mi scoppiava di gioia per averlo potuto partorire con l'appoggio psicologico di medici e infermieri e con tutte le garanzie che mi erano state fornite sul suo futuro appena iniziato... E non sono stata gelosa dei genitori, della donna che lo sta crescendo al mio posto. Ho voluto il meglio per lui, e il cuore mi dice, (così come un tribunale e un giudice tutelare ), mi garantiscono che questo meglio lo ha avuto. Alle donne che stanno facendo l'iter per l'ivg, chiedo di tenere in considerazione la mia esperienza... Non giudico, ma voglio dire che esiste una soluzione, la quale, almeno nel mio caso, non è stata tragica. Credevo di venire giudicata per questa mia scelta, (tra l'altro obbligata da circostanze che non mi sento di riportare qui, ma piuttosto tragiche ). Uscita dall'ospedale ho trovato una solidarietà , e una comprensione che non mi aspettavo. A volte per i servizi sociali, l'iter più rapido è l’IVG... Ma credo che sia anche il più doloroso per molte di noi che non sono convinte di questa scelta. Mio figlio ora cresce, da qualche parte dell'Italia... dentro di me, so' che è circondato di amore ...e tanto mi basta.
Alle ragazze che hanno fatto l'ivg dico che non sono qui a giudicarvi: soffro per voi e con voi, e vi sono vicinissima ora, visto che al tempo, fui vicinissima a trovarmi in una sala operatoria per portare a termine una gravidanza che chi mi circondava, non voleva.
Mi sento in dovere di contribuire con la mia esperienza. Fornisco un link che potrà essere utile:
http://www.informadonna.prato.it/
Il progetto è attivo in Toscana , ma credo che tramite gli assistenti sociali , si possa aderire o comunque venire aiutati ad una iter analogo in tutta Italia.
Al mio bambino:
Sembra che il tuo arrivo imminente susciti emozioni solo a me.
Mi spiace che tu non sia trattato come gli altri bambini. Forse è una delle ultime lettere che potrò scriverti e stampare perché tu possa leggerla domani.
Non so dove, ma sono sicura che in questo istante, hai i miei fogli in mano, e forse, tra la carta, tra mille righe traspare la figura della donna che ti ha transitato nel mondo.
Non voglio che tu mi ricordi con rancore. Tantomeno con malinconia o curiosità morbosa.
Ti amo molto, ma sono solo un involucro in cui permani da otto mesi e quattro giorni, e non posso dire, come tante altre donne, di aspettarti con ansia.
Ci sei già, e solo per ora.
Dopo rimarrai un vuoto incolmabile. Avrei voluto darti una casa e un padre, o anche solo la mia presenza. E mi vedo, di fronte ad un piccolo estraneo, una miniatura duomo che piange davanti agli urti del sole, che sorride ai miei abbracci, che continua a stupirmi, ad evolversi, non più dentro di me ma al mio fianco. Avverto già la tua "non presenza".
L’ombra di mio figlio che cammina accanto a me, in sentieri paralleli e a lui nuovi, in vecchie strade che in quasi ventotto anni ho già percorso inciampando, cadendo, rialzandomi.
Come rialzarsi ora, quando una serie di contrazioni, il rumore di un pianto, una schiera di camici bianchi mi rigetteranno a terra, un cartello di "stop" da fissare per ore bilateralmente assenti, per giorni senza un piccolo idolo da adorare, senza una creazione da esporre tra braccia inesperte, senza un altro bambino con cui giocare perché ne ho ancora tanta voglia, e sarei cresciuta con te. E mi sarei persa tra pupazzi e bambolotti, tornata a guardare il mondo coi primi sguardi che mi hanno rapito il viso, fatta sorridere del creato.
fonte: Mpv-centro aiuto alla vita di Campodarsego
http://www.informadonna.prato.it/
Il progetto è attivo in Toscana , ma credo che tramite gli assistenti sociali , si possa aderire o comunque venire aiutati ad una iter analogo in tutta Italia.
Al mio bambino:
Sembra che il tuo arrivo imminente susciti emozioni solo a me.
Mi spiace che tu non sia trattato come gli altri bambini. Forse è una delle ultime lettere che potrò scriverti e stampare perché tu possa leggerla domani.
Non so dove, ma sono sicura che in questo istante, hai i miei fogli in mano, e forse, tra la carta, tra mille righe traspare la figura della donna che ti ha transitato nel mondo.
Non voglio che tu mi ricordi con rancore. Tantomeno con malinconia o curiosità morbosa.
Ti amo molto, ma sono solo un involucro in cui permani da otto mesi e quattro giorni, e non posso dire, come tante altre donne, di aspettarti con ansia.
Ci sei già, e solo per ora.
Dopo rimarrai un vuoto incolmabile. Avrei voluto darti una casa e un padre, o anche solo la mia presenza. E mi vedo, di fronte ad un piccolo estraneo, una miniatura duomo che piange davanti agli urti del sole, che sorride ai miei abbracci, che continua a stupirmi, ad evolversi, non più dentro di me ma al mio fianco. Avverto già la tua "non presenza".
L’ombra di mio figlio che cammina accanto a me, in sentieri paralleli e a lui nuovi, in vecchie strade che in quasi ventotto anni ho già percorso inciampando, cadendo, rialzandomi.
Come rialzarsi ora, quando una serie di contrazioni, il rumore di un pianto, una schiera di camici bianchi mi rigetteranno a terra, un cartello di "stop" da fissare per ore bilateralmente assenti, per giorni senza un piccolo idolo da adorare, senza una creazione da esporre tra braccia inesperte, senza un altro bambino con cui giocare perché ne ho ancora tanta voglia, e sarei cresciuta con te. E mi sarei persa tra pupazzi e bambolotti, tornata a guardare il mondo coi primi sguardi che mi hanno rapito il viso, fatta sorridere del creato.
fonte: Mpv-centro aiuto alla vita di Campodarsego
Prolife.it Giovani Movimento per la Vita Italiano: Il medico angelo che ha commoso l’Italia: ha sempr...
Prolife.it Giovani Movimento per la Vita Italiano: Il medico angelo che ha commoso l’Italia: ha sempr...: Una giovane mamma racconta: "è grazie a lei se sono arrivata fino in fondo, se ho tenuto duro, se mia figlia oggi ha 13 anni ed è ...
lunedì 16 settembre 2013
Prolife.it Giovani Movimento per la Vita Italiano: Triste aborto familiare.
Prolife.it Giovani Movimento per la Vita Italiano: Triste aborto familiare.: Viene dalla Calabria la storia assurda di madre e figlia che vanno ad abortire insieme. La storia di “una ragazza calabrese di 14 anni...
domenica 8 settembre 2013
Il tuo cuore. Il mio cuore.
fonte: Prolife.it Giovani Movimento per la Vita Italiano:
Quella cosa c’è. Ne è sicura. La sente. Debora ha paura. Anche perché non se la sente ancora di dirlo a nessuno. Nemmeno a Leo. Ha paura del suo pensiero.
Leonardo potrebbe decidere di non aiutarla. È comunque un’eventualità e lei non la vuole scartare. Lui è sempre stato molto gentile con lei, fin troppo a volte, e ora sarebbe la volta buona che la potrebbe mandare a quel paese.
È che lei questo non se lo sarebbe mai aspettato. Fare l’amore a diciotto anni – quasi diciannove – è meraviglioso, ma non si riesce mai a pensare alle conseguenze.
Si pensa spesso all’ora e mai al dopo.
Anche se sinceramente, ultimamente, con la scoperta dell’esserci dell’essere pensa solo a quello. Anche l’esame l’ha superato per il rotto della cuffia, grazie all’aiuto del prof di italiano. Anzi, ora che ci pensa deve mandargli un messaggio. Non l’ha ancora ringraziato.
Prende il cellulare e scrive il messaggio, poi lo invia. Dopo qualche minuto arriva la risposta.
“Figurati! Se c’è un problema, ci salviamo tutti o nessuno, ricordalo sempre. Come spesso ho detto, eravate una buona classe, una buona squadra, e siamo riusciti a vincere la nostra Champions League. Quel giorno ti ho visto pensierosa. Se hai bisogno, sono qua. ti voglio bene .”
Prof, le andrebbe un caffè?
“Certo che sì. quando e dove (il come e il perché li lascio da parte)?”
Gli dice il luogo e l’ora e si inizia a preparare. La passa a prendere lui, tanto “è sulla strada”.
Sono seduti al tavolino del bar, in un dehor davanti a una piazza semi-deserta. Ciò d’estate è strano, persino in un paese così sperduto tra le valli cuneesi.
«Prof, ho paura che mi… che mi possa giudicare.»
«Lo sai che io non giudico. Mai.»
«È che… ho una cosa… qua dentro di me… cioè…»
«Sei incinta.»
«Come fa a saperlo?»
«Be’, non ci va una scienza. Si legge dai tuoi occhi.»
Il prof sorride. Per lui i ragazzi non sono mai stati un segreto. Gli studenti sono sempre stati uguali. Lui stesso, all’epoca, era così.
Nonostante le canzoni, le ideologie, le religioni, le tecnologie, gli uomini restano i medesimi.
Secondo lui, non è vero che il Signore ci ha fatti e poi ha buttato lo stampo. Dio ha fatto tutti con lo stesso stampo, ma essendo Egli l’Uomo più astuto dell’Eternità, si è inventato un piccolo trucco, osservando i cuochi: essi cucinano lo stesso piatto, eppure lo presentano in modo diverso, lo compongono in modo differente. Analizzando ciò, ha deciso che doveva utilizzare lo stesso stampo per l’anima, mentre per il resto si doveva avvalere della propria fantasia. Il professore, quando parla del Creatore, dà questa definizione: “Dio è il più grande Maestro di teatro che esista. Se ognuno di noi è a sua immagine e somiglianza, dev’essere stato Lui stesso il primo imitatore di sé.”
«Cos’hanno i miei occhi?»
«Hai lo sguardo di chi è madre.»
«E, se posso essere curiosa, qual è la differenza dagli altri tipi?»
«Semplice: sono lucidi, brillano, come dei diamanti, oppure degli Swarovski. Ecco, gli occhi delle donne possono essere definiti così: sono dei brutti anatroccoli che con il tempo, con l’esperienza e la maternità diventano dei cigni splendenti.»
«Cazzo…»
«Debora!»
«Mi scusi, ma mi pare di trovarmi davanti a un poeta.»
«Tanto gentile e tanto onesta pare, la donna che mi sta dinanzi.»
Deby sorride. Quell’uomo è totalmente innamorato del Sommo Poeta, Dante Alighieri.
«Be’, è lei che mi stupisce, prof. Non la facevo così intellettuale e pensieroso.»
«Mi attraggono questi argomenti e temi che al giorno d’oggi non vengono più trattati: Dio, il senso della vita, l’amore, la morte. Ci hai mai pensato? Ne “La morte” si può leggere la parola “amore”.»
La ragazza rimane a bocca aperta. Scuote la testa. No, non ci aveva mai pensato.
«Senti,» continua il professore: «Sapendo ciò che dovevi dirmi, a casa ho deciso che era ora di liberarmi di una cosa che avevo scritto pensando a mia madre. Leggila. Spero ti sia d’aiuto e sappi che per qualunque cosa io ci sono.»
Si alza in piedi e dalla tasca dei jeans sfila un foglio piegato in quattro parti perfettamente regolari. La appoggia sul tavolo, lasciando anche i due euro al cameriere che passa di lì. Debora sorride e ne ha timore. Ringrazia e se la infila nella borsetta.
Si alza anche lei e si avviano verso l’automobile.
Si dirige verso la sua stanza, senza nemmeno cercare di capire ciò che la madre le sta dicendo.
Si sdraia sul letto e apre la lettera. La legge una volta e si mette a piangere e la ricomincia una seconda e una terza e una quarta e ogni volta piange sempre più. Dopo la decima volta che la rilegge la comincia a recitare a memoria, parola per parola, soffermandosi su quelle che la colpiscono di più:
Non mi sembra giusto che tu prenda le tue decisioni da sola. Non mi sembra giusto che tutta la mia vita o morte sia decisa solamente da te.
Avrai fatto un errore. Ma un errore serve a crescere, non a dimenticare.
Sono arrabbiato con te.
Con i miei calci cerco di farti male per farti bene. Le due cose non sono così lontane come si crede. Il Bene e il Male sono astrazioni che nessuno ha mai visto.
Ho sentito quella voce di uomo – una voce antipatica, brutta, fastidiosa – che ti diceva quelle parole.
Meglio buttarlo via, il verme.
Chi sarebbe costui? Mio padre? Tuo padre? Un dottore? La coscienza? Chi è?
Credo che tuo figlio dovrebbe aver diritto a sapere chi è la persona che ti ha convinto a fare quest’omicidio.
Da quando hai preso quella decisione, i bambini non mi salutano più. Mi sento solo. Mi sento colpevole.
E invece tu non senti niente, eccetto i calci che ti tiro per dirti che ti amo anche nell’odio che provo.
È che mi fa male pensare che non potrò fare tante cose con te. Mi piacerebbe piangere, ridere, litigare, mandarti a quel paese e poi chiederti scusa e abbracciarti e dirti che ti voglio bene e confessarti di avere una storia d’amore.
E poi farti diventare nonna, averti vicina al matrimonio, sognarti la notte e vederti di giorno, esserti accanto negli ultimi giorni di vita.
Ci sono un sacco di cose che una madre e un figlio possono fare insieme, ma tu non te ne rendi conto.
Tu, sempre il centro di tutto.
Ti amo anche nel tuo egoismo cronico.
Nel tuo egoismo di ragazza diciassettenne che ha capito di aver “fatto un casino”.
Resto ancora fermo un po’, che fa male sentire il tuo cuore battere allo stesso tempo del mio.
Fa male l’amore. Fa male la morte. E poi sarei io il verme?
Occupo lo spazio in cui posso stare, sanguino il sanguinabile e odio l’amabile.
È che mi farebbe male non essere più Figlio. Mi farebbe male non vederti più come Madre.”
Fa male sentire il tuo cuore battere allo stesso tempo del mio.
Quella cosa c’è. Ne è sicura. La sente. Debora ha paura. Anche perché non se la sente ancora di dirlo a nessuno. Nemmeno a Leo. Ha paura del suo pensiero.
Leonardo potrebbe decidere di non aiutarla. È comunque un’eventualità e lei non la vuole scartare. Lui è sempre stato molto gentile con lei, fin troppo a volte, e ora sarebbe la volta buona che la potrebbe mandare a quel paese.
È che lei questo non se lo sarebbe mai aspettato. Fare l’amore a diciotto anni – quasi diciannove – è meraviglioso, ma non si riesce mai a pensare alle conseguenze.
Si pensa spesso all’ora e mai al dopo.
Anche se sinceramente, ultimamente, con la scoperta dell’esserci dell’essere pensa solo a quello. Anche l’esame l’ha superato per il rotto della cuffia, grazie all’aiuto del prof di italiano. Anzi, ora che ci pensa deve mandargli un messaggio. Non l’ha ancora ringraziato.
Prende il cellulare e scrive il messaggio, poi lo invia. Dopo qualche minuto arriva la risposta.
“Figurati! Se c’è un problema, ci salviamo tutti o nessuno, ricordalo sempre. Come spesso ho detto, eravate una buona classe, una buona squadra, e siamo riusciti a vincere la nostra Champions League. Quel giorno ti ho visto pensierosa. Se hai bisogno, sono qua. ti voglio bene .”
Prof, le andrebbe un caffè?
“Certo che sì. quando e dove (il come e il perché li lascio da parte)?”
Gli dice il luogo e l’ora e si inizia a preparare. La passa a prendere lui, tanto “è sulla strada”.
Sono seduti al tavolino del bar, in un dehor davanti a una piazza semi-deserta. Ciò d’estate è strano, persino in un paese così sperduto tra le valli cuneesi.
«Prof, ho paura che mi… che mi possa giudicare.»
«Lo sai che io non giudico. Mai.»
«È che… ho una cosa… qua dentro di me… cioè…»
«Sei incinta.»
«Come fa a saperlo?»
«Be’, non ci va una scienza. Si legge dai tuoi occhi.»
Il prof sorride. Per lui i ragazzi non sono mai stati un segreto. Gli studenti sono sempre stati uguali. Lui stesso, all’epoca, era così.
Nonostante le canzoni, le ideologie, le religioni, le tecnologie, gli uomini restano i medesimi.
Secondo lui, non è vero che il Signore ci ha fatti e poi ha buttato lo stampo. Dio ha fatto tutti con lo stesso stampo, ma essendo Egli l’Uomo più astuto dell’Eternità, si è inventato un piccolo trucco, osservando i cuochi: essi cucinano lo stesso piatto, eppure lo presentano in modo diverso, lo compongono in modo differente. Analizzando ciò, ha deciso che doveva utilizzare lo stesso stampo per l’anima, mentre per il resto si doveva avvalere della propria fantasia. Il professore, quando parla del Creatore, dà questa definizione: “Dio è il più grande Maestro di teatro che esista. Se ognuno di noi è a sua immagine e somiglianza, dev’essere stato Lui stesso il primo imitatore di sé.”
«Cos’hanno i miei occhi?»
«Hai lo sguardo di chi è madre.»
«E, se posso essere curiosa, qual è la differenza dagli altri tipi?»
«Semplice: sono lucidi, brillano, come dei diamanti, oppure degli Swarovski. Ecco, gli occhi delle donne possono essere definiti così: sono dei brutti anatroccoli che con il tempo, con l’esperienza e la maternità diventano dei cigni splendenti.»
«Cazzo…»
«Debora!»
«Mi scusi, ma mi pare di trovarmi davanti a un poeta.»
«Tanto gentile e tanto onesta pare, la donna che mi sta dinanzi.»
Deby sorride. Quell’uomo è totalmente innamorato del Sommo Poeta, Dante Alighieri.
«Be’, è lei che mi stupisce, prof. Non la facevo così intellettuale e pensieroso.»
«Mi attraggono questi argomenti e temi che al giorno d’oggi non vengono più trattati: Dio, il senso della vita, l’amore, la morte. Ci hai mai pensato? Ne “La morte” si può leggere la parola “amore”.»
La ragazza rimane a bocca aperta. Scuote la testa. No, non ci aveva mai pensato.
«Senti,» continua il professore: «Sapendo ciò che dovevi dirmi, a casa ho deciso che era ora di liberarmi di una cosa che avevo scritto pensando a mia madre. Leggila. Spero ti sia d’aiuto e sappi che per qualunque cosa io ci sono.»
Si alza in piedi e dalla tasca dei jeans sfila un foglio piegato in quattro parti perfettamente regolari. La appoggia sul tavolo, lasciando anche i due euro al cameriere che passa di lì. Debora sorride e ne ha timore. Ringrazia e se la infila nella borsetta.
Si alza anche lei e si avviano verso l’automobile.
Si dirige verso la sua stanza, senza nemmeno cercare di capire ciò che la madre le sta dicendo.
Si sdraia sul letto e apre la lettera. La legge una volta e si mette a piangere e la ricomincia una seconda e una terza e una quarta e ogni volta piange sempre più. Dopo la decima volta che la rilegge la comincia a recitare a memoria, parola per parola, soffermandosi su quelle che la colpiscono di più:
Non mi sembra giusto che tu prenda le tue decisioni da sola. Non mi sembra giusto che tutta la mia vita o morte sia decisa solamente da te.
Avrai fatto un errore. Ma un errore serve a crescere, non a dimenticare.
Sono arrabbiato con te.
Con i miei calci cerco di farti male per farti bene. Le due cose non sono così lontane come si crede. Il Bene e il Male sono astrazioni che nessuno ha mai visto.
Ho sentito quella voce di uomo – una voce antipatica, brutta, fastidiosa – che ti diceva quelle parole.
Meglio buttarlo via, il verme.
Chi sarebbe costui? Mio padre? Tuo padre? Un dottore? La coscienza? Chi è?
Credo che tuo figlio dovrebbe aver diritto a sapere chi è la persona che ti ha convinto a fare quest’omicidio.
Da quando hai preso quella decisione, i bambini non mi salutano più. Mi sento solo. Mi sento colpevole.
E invece tu non senti niente, eccetto i calci che ti tiro per dirti che ti amo anche nell’odio che provo.
È che mi fa male pensare che non potrò fare tante cose con te. Mi piacerebbe piangere, ridere, litigare, mandarti a quel paese e poi chiederti scusa e abbracciarti e dirti che ti voglio bene e confessarti di avere una storia d’amore.
E poi farti diventare nonna, averti vicina al matrimonio, sognarti la notte e vederti di giorno, esserti accanto negli ultimi giorni di vita.
Ci sono un sacco di cose che una madre e un figlio possono fare insieme, ma tu non te ne rendi conto.
Tu, sempre il centro di tutto.
Ti amo anche nel tuo egoismo cronico.
Nel tuo egoismo di ragazza diciassettenne che ha capito di aver “fatto un casino”.
Resto ancora fermo un po’, che fa male sentire il tuo cuore battere allo stesso tempo del mio.
Fa male l’amore. Fa male la morte. E poi sarei io il verme?
Occupo lo spazio in cui posso stare, sanguino il sanguinabile e odio l’amabile.
È che mi farebbe male non essere più Figlio. Mi farebbe male non vederti più come Madre.”
Stefano Devalle
giovedì 5 settembre 2013
Apologia della vita
“Signori: basta parlare di arretratezza, voi veramente pensate che una società che voglia difendere il diritto di tutti sia una società arretrata? Il diritto alla vita, signori, è il principale dei nostri diritti. Non avremmo diritto alla libertà di espressione, nè diritto alla libertà sessuale, nè diritto di poter decidere del nostro corpo, se non avessimo quel diritto fondamentale, quel valore supremo che è il diritto alla vita. I Diritti possono essere difesi solo a partire dalla verità“.
E ancora aggiunge: “Come potete spiegare alla società spagnola che difendete gli embrioni dei polipi e dei calamari, delle mucche e dei cavalli, perchè sapete che soffrono?“
Vale la pena dedicare otto minuti per vederlo, e pochissimi secondi per condividerlo e farlo girare su internet, suggerendolo agli amici. Perché?
Innanzitutto è un tentativo di riconsiderare quelli che ormai sono tabù intoccabili del ’68. Da allora, la legislazione e la società occidentale hanno preso una china inarrestabile: divorzio, aborto, eutanasia, coppie di fatto, droga. La direzione si può e si deve cambiare, poco a poco, con preparazione e coraggio.
E poi è un esempio di buona comunicazione: contenuti, ironia, testa alta. Apprezzo soprattutto l’incipit, in cui la deputata ribalta la situazione rispetto a come la presentano i giornaloni: non è reazionario chi difende la vita, bensì chi si ostina a rimanere al ’68; non è retrogrado chi vuole costruire una società giusta, umana, bella, bensì chi la vuole distruggere.
Vale veramente la pena vederlo, è molto incisivo.
Buona visione.
Fonte:
http://cogitoetvolo.it/apologia-della-vita/
lunedì 2 settembre 2013
La psicologa Foà e le conseguenze dell’aborto sui genitori
La sua vocazione a questa opera, nasce, come lei stessa ama ricordare, a Medjugorie;
la psicologa, infatti, è partita alla volta del paese delle apparizioni
mariane nel 1995 come volontaria dell’associazione “A.R.P.A.” fondata
da A. Bonifacio, in qualità di volontaria per gli aiuti umanitari: «E’ stato durante questo periodo – racconta la Dott.ssa Foà -
che la parrocchia di Medjugorie ha chiamato in suo aiuto un esperto, il
canadese dottor Philip Ney. Con lui abbiamo fatto un percorso
di Counseling specifico su “Abuso sessuale e Aborto”. Questo seminario
ha aiutato tutti (sacerdoti, suore, laici), ma a me ha veramente aperto un mondo fino a quel momento sconosciuto». A
fronte di questo incontro la psicologa capì che, dopo gli anni
necessari alla formazione universitaria, si sarebbe occupata di uomini e
donne che soffrono “per non aver accettato la vita dei loro figli”.
Il frutto dei suoi studi, e della sua esperienza professionale, l’hanno portata a scrivere, come co-autrice, “Maternità interrotte”,
un “manuale” in cui viene trattato il problema del post-aborto e le
possibilità di cura; tra i vari progetti che la vedono in prima linea,
c’è anche la costituzione di un centro a Milano che si
occupa della cura e del recupero di coloro che soffrono del trauma
identificato con il nome di “stress post-aborto”. Quello che può
sembrare un comune trauma recuperabile in poco tempo, in realtà, può
trasformarsi in un vero e proprio dramma, come spiega la dottoressa : «Dall’approvazione della legge 194 del 1978 solo in Italia sembra che ci siano stati 5.000.000 di aborti praticati:
questo vuol dire che ci sono altrettante madri/padri che hanno perso
uno o più figli. Non tutti stanno male nello stesso modo e con gli
stessi tempi, ma quando ci si rende conto che un figlio manca
all’appello, e che la responsabilità è propria, molti stanno veramente male. Ho ricevuto telefonate di donne che dopo 10/15 anni di distanza dall’aborto procurato sono cadute in una depressione tale da non riuscire più a lavorare, fino a non riuscire più ad uscire di casa».
L’aspetto più sorprendente, e al tempo stesso sconvolgente, è che lo stress post-aborto colpisce anche gli uomini quando, anche dopo molto tempo, si rendono conto di non aver accolto la vita dei loro figli : «Il pensiero si blocca e l’aborto che hanno fatto fare alla compagna può diventare un chiodo fisso, tanto da non farli progredire nel loro cammino di vita». Ed è presente anche nei bambini sopravvissuti all’aborto.
L’aborto è una piaga sociale ed umana, un dramma che continua ad essere sottovalutato
da una cultura intrisa di relativismo etico che, troppo spesso, propone
un modello completamente errato di libertà, fatto semplicemente di
individualismo e totale assenza di responsabilità. Gli effetti
dell’aborto, come ha ricordato la Dott.ssa Foà, non si ripercuotono solo
sulla vita del bambino, che non potrà mai vedere la luce, ma anche su quella dei genitori,
che, nel loro cammino personale, saranno inevitabilmente accompagnati
da un macigno che continuerà a pesare sulle loro coscienze. In questa pagina abbiamo raccolto un elenco di studi scientifici sulla “sindrome post-aborto”, consigliato anche questo sito web specifico.
Nicola Terramagra
fonti: http://www.uccronline.it/2011/09/05/un-altro-studio-dimostra-che-laborto-danneggia-la-salute-della-donna/
fonti: http://www.uccronline.it/2011/09/05/un-altro-studio-dimostra-che-laborto-danneggia-la-salute-della-donna/
Notizie correlate
la sindrome post aborto
Fino a ora si sono evidenziati due quadri gnoseologici che ricorrono nella pratica clinica, che sono:
1) La “psicosi post-aborto”, che insorge in maniera eclatante subito dopo l’aborto.
Questo è un disturbo di natura prevalentemente psichiatrica (sono molte
le mamme che devono essere ricoverate in psichiatria a seguito di
tentati suicidi o suicidi falliti, o che tentano di rubare i bambini
degli altri, o che si presentano davanti alle scuole aspettando invano
che il loro bimbo esca…).
2) Il “disturbo post-traumatico da stress”, che insorge tra i tre e i sei mesi successivi all’aborto
e che rimane costante fino a quando viene elaborato, o che si aggrava
all’aumentare di altre esperienze traumatiche. Esso consta di frequenti
immagini e pensieri intrusivi; di flashback o incubi ricorrenti che
fanno rivivere l’evento traumatico; di comportamenti persistenti di
evitamento di circostanze associabili al trauma. A questi sintomi
possono aggiungersi conseguenze anche sul piano fisico,
come palpitazioni, inappetenza o disturbi dell’alimentazione, disturbi
del sonno, che possono rimanere latenti anche parecchi decenni in
maniera differente a seconda dell’età in cui si è abortito, dal contesto
percepito come più o meno responsabile, dalla struttura di personalità,
dalla vita condotta dopo l’aborto.
Tra le conseguenze del “disturbo
post-traumatico da stress”, non è raro l’abuso di alcol e droghe, che vengono utilizzate per cercare di dimenticare l’evento traumatico.
La dottoressa continua spiegando le differenze tra i disturbi psicologici in cui incorrono le donne che praticano un aborto chirurgico rispetto a quelle che utilizzano la pillola Ru486.
Nel primo caso, durante l’anestesia, vi è un periodo in cui la donna
non ha coscienza di ciò che accade, a differenza del vissuto vigile,
attimo dopo attimo, che è prerogativa dell’aborto tramite la pillola
RU486. Il fatto è ancora più grave in quanto, una volta iniziato l’iter
abortivo, la donna non ha più alcuna possibilità di tornare indietro.
L’impatto emotivo
della RU486 è ben descritto dalle scene raccontate dalle donne che
l’hanno utilizzata: molte di loro hanno visto l’embrione abortito, hanno
vissuto il flusso emorragico, hanno provato dolori addominali e nausea,
hanno avuto vomito e diarrea… e tutto questo in presa diretta, fino
all’espulsione dell’embrione. Una volta che questo accade le reazioni
sono molteplici: alcune donne gettano loro figlio nel water o nella
spazzatura, altre vanno a seppellirlo in cimitero di nascosto.
Nell’aborto chirurgico i sintomi non emergono subito, se non con uno
scompenso psicotico, ma a distanza di mesi o di anni.
Discorso a parte andrebbe fatto anche per la pillola del giorno dopo, la quale interessa la tematica del “bambino fantasma” e la dicotomia “c’era-non c’era”. Non sappiamo con certezza se quel bimbo fosse stato concepito, ma dato che esistono fior di studi che dicono che le madri sanno di essere incinte prima
di fare il test di gravidanza – e sanno persino di quanti bimbi! – non
lo possiamo escludere. Le donne che chiedono aiuto rispetto a questa
modalità di aborto in genere hanno la certezza di essere state incinte.
In ogni caso, comunque, è sempre una sofferenza che va curata. Si parla
anche poco della sofferenza del padre del bimbo o di
quella dei nonni o di quella dei fratelli. A questo proposito la
Dott.ssa Cinzia Baccaglini ha raccontato uno dei suoi casi più
eclatanti, dove una coppia ha avuto dei problemi con il loro figlio di 6
anni: non oltrepassava più la linea di mezzo della sua stanza e se
veniva invitato caldamente a farlo andava in ansia, piangeva, si agitava
e urlava di non poterlo fare. Mentre veniva visitato da lei, la madre
le racconta che hanno traslocato per mancanza di spazio nella casa
vecchia. A quel punto il piccolo è scoppiato a piangere: «No, non è
vero. C’era spazio nella casa vecchia e anche in quella nuova, io ne uso
solo metà. Poteva esserci anche il mio fratellino. Non lo dovevi
lasciarlo in ospedale».
A quel punto si è capito. Pensare che c’è ancora chi giustifica l’aborto parlando di salute della donna e della famiglia.
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Chiara Lalli e l'aborto, un approccio poco scientifico
La filosofa collabora con Il Corriere della Sera, dove è recentemente stata recensita la sua ultima fatica dedicata all’aborto: “La verità, vi prego, sull’aborto” (Fandango 2013). La missione che si è data è molto suggestiva: dopo l’eutanasia come “dolce morte”, ora è il momento di far passare anche l’idea dell’“aborto dolce”,
tentando di normalizzare l’interruzione di gravidanza ad un banale
intervento medico, una sorta di estrazione delle tonsille. Scrive: «Voglio
esplorare una possibilità teorica che si possa scegliere di abortire,
che lo si possa fare perché non si vuole un figlio o non se ne vuole un
altro, che si possa decidere senza covare conflitti o sensi di colpa». La frase è agghiacciante, anche perché non si parla del feto umano come un agglomerato di cellule, ma proprio di “figlio”. Una lucida e consapevole ammissione di cosa è la soppressione di individuo umano, accettata con tranquillità.
In un intervento del 2005 anche lei è caduta nella fallacia utilitarista del considerare “persona” soltanto il soggetto che presenta «stati mentali coscienti e una pur rudimentale capacità di autocoscienza», quindi, ha concluso, «è
abbastanza inverosimile attribuire all’embrione – sebbene umano e
geneticamente irripetibile, e sebbene potenzialmente personale – queste
caratteristiche». Se la Lalli avesse ragione, allora sarebbe lecito teorizzare l’infaticidio, come hanno fatto i ricercatori Minerva e Giubilini, responsabili della Consulta di Bioetica Laica, dato che nemmeno il neonato
è dotato di coscienza e autocoscienza, così come centinaia di disabili e
malati gravi. Embrioni, neonati e disabili apparterrebbero tutti alla
non ben definita categoria degli esseri-umani-non-persone, ovvero individui che è lecito eliminare in quanto esseri umani privi diritti giuridici.
Tornando al nuovo libro della Lalli, la ricercatrice ha impostato il suo lavoro attraverso interviste a donne contente di aver abortito (selezionate in che modo? estranee? sue amiche?) e sopratutto ha tentato di confutare l’esistenza della cosiddetta Sindrome Post Aborto
(PAS), il disturbo prevalentemente psichiatrico che insorge
frequentemente dopo l’aborto e che rimane costante fino a quando viene
elaborato, o si aggrava all’aumentare di altre esperienze traumatiche.
Secondo la recensione de Il Corriere, la Lalli ha cercato di demolire l’esistenza di tale disturbo tramite alcuni studi. Il primo è quello del 2012 realizzato dall’American Pubblic Healt Association Meeting, che però ha valutato le donne soltanto entro la prima settimana mentre sappiamo che il “disturbo post-traumatico da stress” insorge solitamente tra i tre e i sei mesi successivi all’aborto, come ha spiegato la psicologa e psicoterapeuta Cinzia Baccaglini, tra le massime esperte italiane.
E’ stato poi citato il lavoro di Nada Logan Stotland, che però è in realtà un semplice libro intitolato “The Myth of the Abortion Trauma Syndrome” (la Stotland è inoltre una abortista convinta, come si evince dai suoi articoli sull’Huffington Post), e di quello realizzato negli anni ’90 da Brenda Major (e altri), dove però -al contrario della Lalli- si riconosce l’esistenza
di disturbi post aborto, seppure in bassa percentuale (inoltre, il 72%
del campione analizzato nello studio riferisce comunque dei danni
dall’aborto, seppur considerati, dalle stesse donne intervistate, minori
rispetto ai presunti benefici addotti a giustificazione dell’aborto).
Probabilmente verranno citati altri studi, ma quasi certamente (pronti
ad essere smentiti) nel libro non si parla della revisione sistematica realizzata nel 2008 e pubblicata su Contraception
(rivista americana considerata schierata in versione pro-choice), la
quale, valutando tutti gli studi tra il 1989 e il 2008, ha rilevato che
quelli di scarsa qualità e con metodologia più difettosa erano proprio quelli che negavano l’esistenza di un legame tra l’aborto e una peggior salute mentale.
Probabilmente (pronti ad essere smentiti) la Lalli non ha nemmeno citato
l’infinità di studi scientifici che dicono proprio l’opposto della sua
tesi, i quali dimostrano quanto l’aborto possa danneggiare la salute
mentale delle donne. Sul nostro sito web abbiamo raccolto in un dossier molti di questi studi: citiamo, come esempio, lo studio del 2008 pubblicato dal British Journal of Psychiatry, dove si evidenzia un “moderato” aumento di disturbi mentali per le donne che hanno avuto aborti indotti. Nel 2011, sempre il British Journal of Psychiatry ha cambiato idea
dopo aver analizzato la più grande stima quantitativa dei rischi per la
salute mentale associati all’aborto disponibili nella letteratura
mondiale. Verificando 22 studi e 877.181 partecipanti si è arrivati a questa conclusione: le donne che hanno subito un aborto presentano un rischio maggiore dell’81%
di avere problemi di salute mentale e queste informazioni devono essere
comunicate a chi fornisce servizi per l’aborto. Presupponiamo che
Chiara Lalli non sarà d’accordo con il British Journal of Psychiatry, ma questo probabilmente non interesserà ai ricercatori inglesi. Nel 2008, perfino il Royal College of Psychiatrists ha abbattuto la missione dell’”aborto dolce” mettendo chiaramente in guardia, come riporta il Time, sul fatto che «le donne possono essere a rischio di problemi di salute mentale se hanno aborti», e addirittura che «non
dovrebbe essere consentito di avere un aborto fino a quando non vengono
valutati i possibili rischi per la loro salute mentale».
fonti http://www.uccronline.it/2011/09/05/
fonti http://www.uccronline.it/2011/09/05/
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