Cinzia Baccaglini, laureata in Psicologia clinica e di comunità, è una delle massime esperte italiane della sindrome postaborto. In un’intervista apparsa su “La Bussola Quotidiana” racconta come ancora oggi siano in molti coloro che banalizzino l’aborto, anche se ormai moltissime ricerche scientifiche
attestano esattamente il contrario. Nel mondo scientifico non c’è unità
di vedute sul fatto che esista una “sindrome”, ossia un insieme di
correlati psicopatologici sempre uguali che ricorrono tutti insieme in
qualsiasi persona dopo un aborto. Non dovrebbero, invece, esserci
problemi da parte di nessuno nel riconoscere che a seguito di un aborto
volontario vi siano importanti conseguenze psichiche e l’onere della prova dell’opposto spetta a chi dice non esse esistano, non a chi le cura.
Fino a ora si sono evidenziati due quadri gnoseologici che ricorrono nella pratica clinica, che sono:
1) La “psicosi post-aborto”, che insorge in maniera eclatante subito dopo l’aborto.
Questo è un disturbo di natura prevalentemente psichiatrica (sono molte
le mamme che devono essere ricoverate in psichiatria a seguito di
tentati suicidi o suicidi falliti, o che tentano di rubare i bambini
degli altri, o che si presentano davanti alle scuole aspettando invano
che il loro bimbo esca…).
2) Il “disturbo post-traumatico da stress”, che insorge tra i tre e i sei mesi successivi all’aborto
e che rimane costante fino a quando viene elaborato, o che si aggrava
all’aumentare di altre esperienze traumatiche. Esso consta di frequenti
immagini e pensieri intrusivi; di flashback o incubi ricorrenti che
fanno rivivere l’evento traumatico; di comportamenti persistenti di
evitamento di circostanze associabili al trauma. A questi sintomi
possono aggiungersi conseguenze anche sul piano fisico,
come palpitazioni, inappetenza o disturbi dell’alimentazione, disturbi
del sonno, che possono rimanere latenti anche parecchi decenni in
maniera differente a seconda dell’età in cui si è abortito, dal contesto
percepito come più o meno responsabile, dalla struttura di personalità,
dalla vita condotta dopo l’aborto.
Tra le conseguenze del “disturbo
post-traumatico da stress”, non è raro l’abuso di alcol e droghe, che vengono utilizzate per cercare di dimenticare l’evento traumatico.
La dottoressa continua spiegando le differenze tra i disturbi psicologici in cui incorrono le donne che praticano un aborto chirurgico rispetto a quelle che utilizzano la pillola Ru486.
Nel primo caso, durante l’anestesia, vi è un periodo in cui la donna
non ha coscienza di ciò che accade, a differenza del vissuto vigile,
attimo dopo attimo, che è prerogativa dell’aborto tramite la pillola
RU486. Il fatto è ancora più grave in quanto, una volta iniziato l’iter
abortivo, la donna non ha più alcuna possibilità di tornare indietro.
L’impatto emotivo
della RU486 è ben descritto dalle scene raccontate dalle donne che
l’hanno utilizzata: molte di loro hanno visto l’embrione abortito, hanno
vissuto il flusso emorragico, hanno provato dolori addominali e nausea,
hanno avuto vomito e diarrea… e tutto questo in presa diretta, fino
all’espulsione dell’embrione. Una volta che questo accade le reazioni
sono molteplici: alcune donne gettano loro figlio nel water o nella
spazzatura, altre vanno a seppellirlo in cimitero di nascosto.
Nell’aborto chirurgico i sintomi non emergono subito, se non con uno
scompenso psicotico, ma a distanza di mesi o di anni.
Discorso a parte andrebbe fatto anche per la pillola del giorno dopo, la quale interessa la tematica del “bambino fantasma” e la dicotomia “c’era-non c’era”. Non sappiamo con certezza se quel bimbo fosse stato concepito, ma dato che esistono fior di studi che dicono che le madri sanno di essere incinte prima
di fare il test di gravidanza – e sanno persino di quanti bimbi! – non
lo possiamo escludere. Le donne che chiedono aiuto rispetto a questa
modalità di aborto in genere hanno la certezza di essere state incinte.
In ogni caso, comunque, è sempre una sofferenza che va curata. Si parla
anche poco della sofferenza del padre del bimbo o di
quella dei nonni o di quella dei fratelli. A questo proposito la
Dott.ssa Cinzia Baccaglini ha raccontato uno dei suoi casi più
eclatanti, dove una coppia ha avuto dei problemi con il loro figlio di 6
anni: non oltrepassava più la linea di mezzo della sua stanza e se
veniva invitato caldamente a farlo andava in ansia, piangeva, si agitava
e urlava di non poterlo fare. Mentre veniva visitato da lei, la madre
le racconta che hanno traslocato per mancanza di spazio nella casa
vecchia. A quel punto il piccolo è scoppiato a piangere: «No, non è
vero. C’era spazio nella casa vecchia e anche in quella nuova, io ne uso
solo metà. Poteva esserci anche il mio fratellino. Non lo dovevi
lasciarlo in ospedale».
A quel punto si è capito. Pensare che c’è ancora chi giustifica l’aborto parlando di salute della donna e della famiglia.
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