Accompagnamento post aborto | Elaborazione del lutto
Ringraziamo la giovane mamma e amica che ci hapermesso di pubblicare questa testimonianza.
Molto spesso si pensa, ingenuamente, che una donna che abortisce volontariamente non provi rimorsi o dolore per quello che ha fatto. Niente di più falso! Una donna che abortisce nasconde dentro di sè un dolore a volte inconscio, altre volte più consapevole per il dramma che ha vissuto. E’ un dolore muto, silenzioso, solitario, che solo coloro che hanno provato possono veramente capire nella sua drammaticità, ma che oggi è finalmente stato riconosciuto in una vera e propria sindrome, la sindrome post aborto (o sindrome post abortiva).
Nei Centri di Aiuto alla Vita puoi trovare delle persone formate appositamente per sostenere ed accompagnare una donna che vive il dolore della sindrome post abortiva ed aiutarla ad elaborare il lutto per quel figlio non nato.
Leggi qui la testimonianza di una donna seguita dal Centro di Aiuto alla Vita di Treviso:
Un angelo di nome Alessandro
A 17 anni ero una ragazza magrolina,
con i capelli biondi a spazzola, solare, sognatrice e forse un po’
troppo chiacchierona. ero insieme ad un altro ragazzo, ci frequentavamo
ormai da tre anni e da pochissimo avevamo provato a fare l’amore. Quando
cominciai ad avere le prime nausee pensai fosse solo un po’ di
gastrite, poi pian piano il dubbio di essere incinta si fece strada in
me. Non so con quale coraggio riuscii a parlarne a mia mamma, ricordo
solo tante lacrime e tanta paura. E la mia paura si rivelò fondata,
perché il test comprato in farmacia indicò chiaramente che ero incinta.
Del mese che seguì non ho che ricordi frammentati, vivevo come immersa
in una bolla di confusione e incertezza, concentrata su me stessa e
staccata da tutto ciò che mi circondava. Avevo la sensazione che
tutto fosse troppo veloce e troppo intenso, che gli eventi
precipitassero senza che io riuscissi ad afferrarne davvero il senso. A casa l’atmosfera era pesante, io non sapevo cosa fare, come reagire. Era
una cosa talmente grande per me, un problema senza soluzioni… e per di
più non potevo parlarne con nessuna amica, non potevo chiedere consigli a
nessuno… Finché qualcuno mi disse che avevo la possibilità di
abortire. Entro i 3 mesi era legale. Fu come una boccata d’aria. I miei
genitori, anche loro molto disorientati ed incerti, mi accompagnarono da
una psicologa perché mi aiutasse a capire cosa volevo fare. Ma come si
fa a chiedere ad una ragazzina di 17 anni cosa vuole fare? Io l’unica
cosa che riuscivo a pensare era che non volevo affrontare i
pettegolezzi, non volevo andare a scuola con il pancione sotto gli occhi
di tutti. Io non ero abbastanza forte per tutto ciò!
Non riuscivo a vedere nessun aspetto positivo nell’essere incinta, era
solo qualcosa che mi faceva stare terribilmente male e vomitare tutto il
giorno.
Allora quella psicologa mi
disse che quello che avevo in pancia, potevo vederlo semplicemente come
un ammasso di cellule che si riproducevano, niente di molto diverso da
un cancro che si poteva eliminare con una semplice operazione.
Uscii da quella stanza vedendo
finalmente un po’ di luce in fondo al tunnel nel quale mi sentivo
prigioniera. Mi dissi che, in fin dei conti, stavo solo dicendo a quel
“non ancora bambino” di tornare in un secondo momento, quando sarei
stata più grande e pronta. Come dire, “ritenta, sarai più fortunato”.
Poi di nuovo le cose precipitarono, se volevo abortire dovevo fare in fretta, il ginecologo, un lunedì mi fissò l’intervento per il venerdì stesso. Nel mio diario quella sera scrissi “aiuto, è troppo presto!”
Poi di nuovo le cose precipitarono, se volevo abortire dovevo fare in fretta, il ginecologo, un lunedì mi fissò l’intervento per il venerdì stesso. Nel mio diario quella sera scrissi “aiuto, è troppo presto!”
Non riesco a raccontare con
facilità il giorno dell’intervento. So che mi sentii estremamente sola.
Troppo sola, nervosa e impaurita.
Ma, come ogni cosa nella vita, anche
quella giornata passò. E non ne parlai mai più con nessuno, né con i
miei quando mi riportarono a casa, nè con il mio ragazzo.
Dentro di me ero convinta di aver fatto la cosa giusta… o almeno l’unica cosa che ero in grado di fare.
Fu molto semplice riprendere la mia
vita esattamente dove l’avevo lasciata un mese prima. Da quel giorno ho
continuato ad andare a scuola, mi sono laureata, ho lasciato quel
ragazzo ed ho conosciuto Matteo, mio marito. La mia vita è stata
normalissima e senza nessun rimpianto o senso di colpa. Pensavo che quello che era successo non mi avesse lasciato nessuna ferita.
Finchè, dopo il matrimonio, ho
cominciato a sentire qualcosa che mi soffocava, qualcosa che voleva a
tutti i costi uscire, venire a galla ma che non sapevo cos’era e per
paura ricacciavo indietro, in basso. Mi sentivo sempre più insoddisfatta
e prigioniera.
Non
lasciavo che mio marito mi conoscesse e mi amasse davvero fino in fondo
perché percepivo di essere sporca, di essere cattiva e di non meritare
davvero di essere felice.
Abbiamo cominciato una terapia di
coppia che mi ha fatto capire cos’era ciò che mi bloccava: era proprio
quell’aborto che avevo fatto 12 anni prima, che pensavo completamente
superato ma non lo era affatto. Pesava su di me come un macigno e non mi
permetteva di lasciarmi amare davvero perché io per prima, nel
profondo, non mi amavo e non mi perdonavo.
Perché me ne sono resa conto solo dopo così tanto tempo? Non lo so, io credo che il Signore mi sentisse finalmente abbastanza matura e forte per poter ri-elaborare quell’esperienza.
Perché me ne sono resa conto solo dopo così tanto tempo? Non lo so, io credo che il Signore mi sentisse finalmente abbastanza matura e forte per poter ri-elaborare quell’esperienza.
Sono andata a trovare il mio padre spirituale e, durante la confessione,
ho chiesto perdono per quello che avevo fatto. Non è stato facile
parlarne, ma soprattutto non mi sono sentita meglio dopo, perché non riuscivo a perdonare me stessa.
Avevo bisogno di aiuto, di una guida… la trovai in una splendida
volontaria del CAV (il centro di aiuto per la vita). Con lei cominciai
il mio percorso di elaborazione dell’aborto.
Lentamente sono riuscita ad
ammettere di aver perso un figlio, un bambino, che era vivo dentro di
me, non un semplice ammasso di cellule, e quindi ad accettare il fatto
che ero una mamma anch’io, anche se mio figlio non era nato.
Quanta sofferenza e quanta fatica ho
fatto a chiamare me stessa “mamma”. Una mamma dovrebbe prendersi cura
di suo figlio, dovrebbe proteggerlo, amarlo e accettarlo sempre per
quello che è… ed io ho fatto tutto il contrario, l’ho rinnegato, non
l’ho lasciato “essere”, vivere. E’ una cosa imperdonabile, non potrò
fare mai niente per tornare indietro, per riavere il mio bambino.
Ma ho capito che, se non posso cancellare quell’errore, posso almeno cercare di dare una dignità a quella vita mancata.
Ho dato un nome al mio bambino, Alessandro,
gli ho comprato un ciuccio ed ho cominciato a parlargli, scrivendogli
una lunga lettera. Gli ho finalmente detto che nel profondo, io lo
sentivo, l’ho sempre sentito.
Quando era dentro di me,
anche se non lo ammettevo neanche a me stessa e cercavo di soffocare
quel pensiero, io sapevo che lui era già una creatura viva, un
dono di Dio che purtroppo non avevo avuto il coraggio di accettare. Gli
ho chiesto scusa e gli ho detto che lo amo, di un amore profondo,
diverso da quello che provo per chiunque altro, perché lui è parte di
me, è il mio bambino. Sbagliavo a pensare di averlo messo in “standby”
per quando sarei stata pronta, lui è uno ed unico.
Nessun altro figlio sarà lui o lo sostituirà.
Questa considerazione, questa
certezza, mi ha animato del desiderio di parlare di lui a chi mi sta più
vicino. Così, oltre a mio marito, al quale fin dal primo incontro
raccontavo tutto, ho parlato di Alessandro anche ai miei genitori. Non
avevamo mai più nominato quanto era accaduto 12 anni prima, ma sapevo
che anche loro avevano sofferto molto per quella scelta così difficile.
Ho letto loro la lettera che avevo scritto ad Alessandro, e sono rimasta
sorpresa e felice perché, commossi, mi hanno ringraziato ed anche loro
hanno poi voluto scrivergliene una. Eravamo tutti e tre
prigionieri di quel tacito accordo di segretezza che teneva ciascuno di
noi rinchiuso nel proprio dolore. Ma l’amore porta amore …
Sono riuscita a parlare di Alessandro
anche alle due mie più care amiche… Ero felice perché sentivo che stavo
restituendo ad Alessandro la sua famiglia. Ora aveva davvero dei nonni,
delle zie e un secondo papà, mio marito che gli volevano bene e
pregavano per lui.
Ma sapevo che non era ancora abbastanza, mancava la cosa più importante: parlare di Alessandro con il suo vero papà, il mio ex ragazzo, col quale non avevo più grandi rapporti da quasi 9 anni e mi spaventava la sua possibile reazione… Temevo di imporgli di parlare di una cosa che a lui non interessava minimamente e che mi dicesse che non voleva sapere. E invece… la sua risposta mi ha letteralmente lasciata di stucco ma allo stesso tempo felice: anche lui aveva pensato spesso, in tutti questi anni, a quel bambino mancato e anche lui aveva sofferto molto e si era fatto aiutare per superare il senso di colpa.
Ma sapevo che non era ancora abbastanza, mancava la cosa più importante: parlare di Alessandro con il suo vero papà, il mio ex ragazzo, col quale non avevo più grandi rapporti da quasi 9 anni e mi spaventava la sua possibile reazione… Temevo di imporgli di parlare di una cosa che a lui non interessava minimamente e che mi dicesse che non voleva sapere. E invece… la sua risposta mi ha letteralmente lasciata di stucco ma allo stesso tempo felice: anche lui aveva pensato spesso, in tutti questi anni, a quel bambino mancato e anche lui aveva sofferto molto e si era fatto aiutare per superare il senso di colpa.
E’ incredibile… in tutti questi anni
ciascuno di noi (io, lui, i miei genitori) soffriva, ciascuno a suo modo
e ciascuno completamente solo, isolato… ed ora, invece, semplicemente trovando il coraggio di parlarne, c’è qualcosa che ci unisce.
Alessandro ha una vera famiglia che
gli vuole bene, e probabilmente è amato molto di più di quanto
(purtroppo) lo siano tanti bambini in questo mondo. mi sembra quasi un
miracolo tutto questo…
Qualche tempo dopo abbiamo celebrato una messa per Alessandro. E’ stata una celebrazione molto sofferta per me, perché l’ho vissuta come un distacco, ma allo stesso tempo mi ha sollevata, perché ho intuito che Alessandro non era più legato a me dal mio senso di colpa, ma era a fianco del Signore. Il giorno dopo, assieme a mio marito, sono andata al mare, nella località dove Alessandro è stato concepito. Ho cercato un boschetto, vicino alla spiaggia, e li, ai piedi di un albero, ho sepolto il suo ciuccio.
Qualche tempo dopo abbiamo celebrato una messa per Alessandro. E’ stata una celebrazione molto sofferta per me, perché l’ho vissuta come un distacco, ma allo stesso tempo mi ha sollevata, perché ho intuito che Alessandro non era più legato a me dal mio senso di colpa, ma era a fianco del Signore. Il giorno dopo, assieme a mio marito, sono andata al mare, nella località dove Alessandro è stato concepito. Ho cercato un boschetto, vicino alla spiaggia, e li, ai piedi di un albero, ho sepolto il suo ciuccio.
E finalmente ho lasciato
entrare mio marito nel profondo del mio cuore, ora mi sento degna di
essere amata e da questo amore sono nate i nostri bimbi Luca e Anna.
Sono stati davvero un regalo stupendo ed inaspettato del Signore… forse anche Lui voleva farmi capire che mi ha perdonata e che ha tanta fiducia in me e mio marito da affidarci ben due Sue creature.
Noi facciamo del nostro meglio, ma sappiamo anche che sono in buone mani, perché hanno come fratello un angelo di nome Alessandro…
fonte: blog del Cav di Cornuda
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