domenica 19 aprile 2009

Chi sono i volontari del CAV

Vi invito a leggere la prefazione che Claudio Magris ha fatto al libro “Vite salvate” perché ci aiuta a comprendere meglio chi siamo noi volontari del Centro aiuto alla Vita e come la pensiamo. Troppo spesso infatti veniamo accusati di fare propaganda demografica, di non saper stare al passo con i tempi, o ancor peggio di voler difendere solo la vita del bambino, ma di non saper rispettare i diritti, in particolar modo il diritto di autodeterminazione delle donne che “obblighiamo” a tenere il figlio a tutti i costi. (Patrizia)

Prefazione a “Vite salvate” di Claudio Magris
"I volontari del Centro di Aiuto alla Vita non fanno propaganda demografica. Non ci pensano nemmeno che sia meglio avere figli piuttosto che non averne; non è detto che debbano professare un generico e retorico culto della vita, che è molto dubbio e comunque discutibile se sia un bene", ha scritto ti Claudio Magris nella prefazione di un libretto di testimonianze: le "Vite salvate" (cosi si intitola il libro a cura di Gianni Mussini, edizioni Interlinea, 10 euro), i bambini nati e poi cresciuti con l'aiuto dei volontari del Cav. "I volontari semplicemente cercano di aiutare i figli che già ci sono e i genitori che non vogliono perderli; rispettare i viventi, coloro che – per grazia o disgrazia – vengono messi al mondo senza averlo chiesto e hanno diritto, come tutti, alla solidarietà di tutti. Non l'astratto incensamento alla vita, ma il concreto rispetto e amore del fratello vivente muove la straordinaria, generosa, illuminata opera del Cav. Magris ascoltava a volte le telefonate della moglie, Marisa Madieri (il Cav di Trieste ora porta il suo nome), che discuteva ogni piccolo caso di disperazione, che cercava aiuti e ne dava "con estrema discrezione e sempre nell'assoluto rispetto della loro libertà e dei loro desideri". Una "lucida e spavalda carità", una cosa quasi normale che non si veste di crocifissi e baschi neri, che non spaventa né colpevolizza ma si mette accanto, quando serve e quando c'è qualcuno che lo chiede. Donne che si fanno carico di altre donne. Che provano a offrire una possibilità, o anche solo una carezza. Laura Boiocchi fa la casalinga, ha un figlio e per lui ha dovuto lasciare la carriera, non stava bene e aveva bisogno di lei. Un compagno di scuola del bambino le ha raccontato un giorno che cosa faceva il suo papa, "aiuta le donne che non hanno nessuno che le ascolta", è stato cosi che Laura ha cominciato. Voleva dare una mano, le sembrava una cosa bella, giusta. All'inizio nella segreteria di un Cav di Pavia, poi le hanno chiesto di cominciare a fare anche i colloqui. "Mi tremavano le gambe la prima volta", poi è andata bene, è riuscita persine a calmare una ragazzina bionda che piangeva, a farla uscire con un mezzo sorriso, un segreto in meno e un numero di telefono stretto in mano. Hanno uno sportello, un piccolo ufficio nel day hospital di un policlinico. Stanno lì, tre volte la settimana, e aspettano. "Siamo a disposizione di chi ci cerca", spiega Laura. Le cercano le donne che vanno a prenotare l'interruzione di gravidanza, e magari nella sala d'attesa sfogliano nervosamente l'opuscolo del Cav, vedono quelle facce sorridenti e si lasciano per un attimo cullare dal dubbio che potrebbero, poi, sorridere anche loro. "A volte sono le anestesiste che accompagnano qui le ragazze – dice Laura – perché le vedono con le lacrime agli occhi o anche solo sperdute". A loro Laura dice: non hai una cosa in meno, ma una in più.

Un assegno di 160 euro
Una ragazza del Camerun, al quarto anno di Medicina in Italia, viveva in collegio e aveva già prenotato l'aborto: il suo fidanzato studiava Economia e commercio, non si sentiva pronto; suo padre, in Camerun, voleva che abortisse, "devi laurearti e poi sposarti questa non ci voleva", lei era completamente sola, e se avesse tenuto il bambino avrebbe dovuto lasciare il collegio. All'ottava settimana di gravidanza ha fatto l'ecografia e si è messa a piangere. "Poi è arrivata qui, ho dovuto aspettare mezz'ora prima che si calmasse, prima che riuscisse a parlare". Il fidanzato le aveva detto: se lo tieni io non lo riconosco. Niente soldi niente casa niente di niente. "Le ho detto che avremmo trovato una soluzione, che se lei quel bambino lo voleva avremmo superato qualunque ostacolo". Quel bambino nascerà i primi giorni di gennaio, per due mesi lei starà ospite da un'amica, poi avrà un posto nella Casa di accoglienza di Belgioioso. Il Cav le ha dato l'assegno del progetto Gemma, 160 euro al mese, le ha dato un po' di amiche e i soldi necessari per le visite, le darà sostegno per aiutarla a crescere il bambino. "Non occorre la fede, preziosissima ma in questo caso non necessaria, basta la virtù laica della chiarezza e della logica razionale per sapere che ogni essere umano, in ogni fase anche debolissima della sua esistenza, ha diritto alla sopravvivenza e a vivere nella dignità", ha scritto Magris. Non occorre la fede, e Laura non chiede mai alle donne che si presentano allo sportello: sei credente? "Non lo chiedo perché non c'entra nulla, non è importante, è importante che io possa rispondere alle loro domande, accogliere le loro storie". C'è chi non accetta un secondo colloquio, c'è chi scappa via subito, c'è chi piangendo dice "Se l'avessi saputo prima", e magari pensa a quell'altra volta, quella in cui era tanto giovane e tanto sventata. C'è chi è già stata li, poi ha abortito e adesso ritorna, per una seconda volta. "Se noi spaventassimo e colpevolizzassimo le donne, come vorrebbero le nostre caricature, perché dovrebbero tornare? E perché dovrebbero, in cosi tante, cambiare idea e provare a farcela?", dice Laura. A volte non sanno nemmeno cosa è successo alle ragazze che hanno chiesto consiglio e poi sono uscite da li. Alessandro Assanelli, però, professore di chimica e volontario da trent'anni, se le ricorda tutte. "Ho parlato con mille mamme, avevano già in mano il certificato d'aborto, e so che almeno ottocentocinquanta hanno accettato la gravidanza, hanno detto si alla vita, in nome della loro libertà". La libertà di non abortire, se non si vuole. "Basta guardare le facce delle ragazze che decidono di tenere il loro bambino: sono trasformate dalla gioia", ed è per questo, dice Assanelli, che lui si sente ancora di più in dovere di abbracciare le altre, quelle che non ce l'hanno fatta, quelle che hanno dovuto abortire. "Guai a giudicarle – dice – guai a voltar loro le spalle". Una ragazza ha scritto una lettera: "L'unico aiuto che ebbi fu un certificato di interruzione di gravidanza e la certezza che avrei dovuto recarmi da sola in ospedale a uccidere mio figlio. Questa non è libertà. Non conoscevo allora la presenza e l'opera dei Centri di aiuto alla vita, ne avrei avuto bisogno e sono certa che se mi fosse stata offerta questa opportunità l'avrei accettata con gioia e ora avrei accanto a me anche quella bambina per la quale mai si è spento il ricordo e il rimpianto. Antonella".

Padri che cambiano numero di telefono
Condivisione. Dicono che è questo quello che fanno i volontari per la vita. Condivisione quieta e attenta, aiuto vero e materiale: i soldi, la casa, il lavoro. Tutto quello che possono. Hanno aiutato una ragazza ad andare all'estero, perché il compagno in Italia l'avrebbe trovata e fatta abortire a calci: lui non sa dove sia lei adesso, e non lo deve sapere. Un'altra era sieropositiva, l'ha scoperto quando è rimasta incinta, contagiata dal fidanzato che non le aveva detto nulla e che voleva solo che abortisse in fretta. Il Cav l'ha aiutata a tirare fuori la forza che credeva di non avere, un volontario è andato a casa sua, una sera d'estate, ha affrontato quell'uomo che la menava e lei poi è andata da un avvocato, l'ha diffidato dal fare mai più del male a lei e al bambino, che nascerà sano. Cose così, storie terribili e storie normali, di donne che arrivano e dicono: "Non posso tenerlo, abbiamo appena cambiato la macchina", ma poi negli anni continuano a telefonare alle volontarie, e molte di loro sono più volte madrine. Donne che decidono di non abortire non perché hanno paura della morte (e non per la favola brutta e falsa dei feti abortiti mostrati per scoraggiare), ma perché amano la vita. Una donna di quarantuno anni stava con un ragazzo più giovane, ventotto anni, non pensava più alla maternità, ma è rimasta incinta. Lui le ha detto che poteva anche scordarsi il suo numero di cellulare se teneva quel figlio, quello sbaglio. Lui aveva tutta la vita davanti per fare figli, lei no. Ma nemmeno il padre voleva che lo tenesse, non le ha parlato per un mese, e invece adesso l'accompagna a ogni ecografia, orgoglioso. Era agosto e il centro Cav era chiuso, ma la telefonata è stata trasferita al cellulare di una volontaria. "Ho fatto quasi tutto per telefono – racconta Laura – le ho consigliato per prima cosa di spostare l'aborto di un paio di settimane, perché per fortuna era ancora molto indietro. E l'ho ascoltata mentre mi diceva che stava male, che se non abortiva perdeva il fidanzato e se abortiva perdeva un figlio". Il fidanzato ha perfino cambiato residenza, lei ha cambiato vita: il bambino nascerà a marzo. "Mai nessuna si è pentita di non avere abortito", dice Alessandro Assanelli. Questi volontari (questi fanatici, dicono in tanti) spesso si tolgono i soldi dalle tasche senza dirlo a nessuno perché quella mamma deve fare un'altra ecografia, o perché il bimbo ha l'otite. Un'ostetrica ha aperto la cascina dei suoi genitori, in campagna, alle ragazze madri, e a poco a poco ha costruito tante casette intorno: dice che è quella la festa, la festa della vita che nasce.

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